lunedì 24 settembre 2007

Pochi piagnistei

Con i se e con i ma, non si va da nessuna parte! Nel suo ultimo commento, Lauriola ha scritto: "L'iniziativa è saltata perchè i presidi regionali del libro non mi hanno dati dei soldi e dell'amministrazione comunale neanche a parlarne". Bene. Faccio, pertanto, delle considerazioni: 1) se dovessimo aspettarci sempre qualcosa dagli altri, Lauriola farebbe bene a chiudere bottega!; 2) i miei precedenti articoli non erano un attacco alla libreria in quanto tale, anzi, nè, tantomeno, alla libraia; 3) nell'invitare gli autori menzionati non volevo di certo ridimensionare la storia locale, fatta di sacrifici umani e abnegazione; 4) il problema è sempre lo stesso: nella nostra città le sagre paesane - che non interessano più a nessuno: basta contare i numeri dei presenti - sono l'esclusiva della città; 5) nessuno ha chiesto a Lauriola di salvare la cultura a San Giovanni Rotondo; 6) ho più volte scritto sull'amministrazione, anche quando era in una botte di ferro - a differenza di Lauriola, brava solo a farlo in privato o quando nessuno le può rispondere, come nel caso che stiamo vivendo - e sulla sua incapacità di governare questo paese: farlo in una circostanza dove a Palazzo di Città regna il nulla più assoluto, sarebbe stato un vano esercizio retorico. Chiarito questo, resto convinto delle mie idee: e cioè che a Lauriola manchino le capacità manageriali per volare alto. Non sara mica un delitto, dire questo! Se poi, un giorno dovesse capire, Lauriola, come funziona una attività che produce cultura e che con essa trae dei profitti, sarò ben lieto di ricredermi.


PS: Conosco Giuseppe Mangiacotti da diversi anni (esattamente dal 2003); me lo ricordo come una persona disponibile, affabile e socievole. Tante volte sono state le occasioni in cui ci siamo confrontati; entrambi abbiamo creduto, e in maniera convinta, nel progetto che il Grande Defenestrato voleva perseguire per il bene della città. Inevitabile è stata la rottura quando, e in tante occasioni, ho preso posizione contro il modo di fare - che tutti abbiamo avuto modo di conoscere - del Grande Defenestrato.
Ho letto quello che ha scritto a proposito degli attacchi che il povero fratellino ha ricevuto in questi anni: "In questi 2 anni e mezzo - è la lamentela di Giuseppe - una mezza dozzina di visitatori del portale grazie a te sono stati autorizzati a scrivere di tutto, avresti avuto avere il dovere professionale (riferito a Giovanni Piano) ma soprattutto morale di filtrare certe calunnie". Mi dispiace essere in disaccordo con Giuseppe: ma il problema è un altro, e cioè che il Grande Defenestrato è stato il primo responsabile dello sfascio che abbiamo sotto gli occhi.
In politica, come nella vita, caro Giuseppe, non contano solo gli onori ma, soprattutto, gli oneri. Il Grande Defenestrato ha voluto, nei due anni di amministrazione, fare e strafare, fregandosene dei consigli, delle critiche, anche dure, che gli sono piovute. La corte dei lacchè, le troppe promesse fatte durante la campagna elettorale, la debolezza di carattere, l'arroganza, la scelta degli uomini, caro Giuseppe, sono stati i punti deboli che, inevitabilmente, hanno portato a questo disastro. Prendersela con un portale di confronto - che secondo me andrebbe impostato in un altro modo: e non mi stancherò mai di dirlo - è troppo facile. Occorre, pertanto, avere il coraggio di ammettere le colpe, gli errori e mettersi, per il bene del paese, da parte. Una volta per tutte. Senza se e senza ma.
In questo caso, quindi, sono dalla parte di Giovanni Piano che, nonostante le censure, ripicche e l'eccessiva morbidezza, va ringraziato per il lavoro - gratutito - che sta facendo per la nostra comunità.
Caro Giuseppe, la libertà d'informazione vale sempre e non solo quando ci si scaglia sugli oppositori. Maturità e buon senso vogliono che si abbia l'onestà intellettuale per comprendere che una avventura - nata sotto i migliori auspici, con gli oltre 8 mila votanti - è finita e che è ora di voltare pagina. Tutto qua.

giovedì 20 settembre 2007

Il re è nudo, finalmente!

Ai nostri politici e a tutti quelli che vogliono intraprendere la carriera politica.



La politica è forse la sola professione per la quale non si ritiene necessaria alcuna preparazione.


(Robert Louis Stevenson)



La notizia mi è giunta tramite un sms. Un caro amico mi ha avvertito: “Francè, l’amministrazione comunale è caduta”. Appena avuta la possibilità di collegarmi ad internet, ho letto quello che riportava la Pravda sangiovannese, ovverosia il portale “sangiovannirotondonet.it”, guidato amabilmente da Catone e Saffo.

L’articolo, sempre equidistante, raccontava solo che l’amministrazione si era sciolta dopo la raccolta delle firme di ben 11 consiglieri comunali, quattro dei quali legati, in qualche modo, al centro-sinistra.

Alla notizia, un moto di sollievo e gioia.

E’ finita un’esperienza iniziata sotto i migliori auspici. Otto mila voti. Tanto entusiasmo, impegno profusi da elettori sinceri e convinti, dagli amici e, infine, dai numerosi lacchè che non mancano mai. Ricordo ancora i discorsi pubblici del defenestrato e umiliato Mangiacotti: “progresso, trasparenza, largo ai giovani, i miei maestri saranno Fiore, Salvemini e Luigi Tamburrano”. Che fine indecorosa, caro Mangiacotti, hai fatto! Una fine indecorosa, dunque, ma strameritata e voluta.

L’ex sindaco è rimasto prigioniero non solo dei suoi arroganti, mediocri, incompetenti assessori e consiglieri (anche quelli privati), ma, soprattutto, delle sue innumerevoli promesse da messia. Promesse, naturalmente, mai mantenute, cambiali non rispettate, progetti tutti in cantiere, attesa rinascita trasformatasi ben presto in incubo. Un incubo amaro, soprattutto per noi poveri e onesti cittadini che nel 2005 lo votammo in massa.

Ricordo ancora, come se fosse adesso, l’intervista che mi rilasciò nell’ottobre scorso a Palazzo di Città. Me lo ricordo quieto, sorridente, falso, bugiardo, ipocrita, docilmente seduto sulla tanto ambita e comoda poltrona che già allora immeritatamente riscaldava. Difendeva il suo operato, difendeva a spada tratta gli amici Siena e Cusenza, con il sorriso sulle labbra accusava me di disfattismo, eccessiva durezza e poco oggettività nelle analisi; era lui, in pratica, che accusava tutto e tutti: l’opposizione, il cosiddetto ceto medio riflessivo e la popolazione tutta. Nelle sue risposte, descriveva una città che, nella dura realtà di tutti giorni, non esisteva affatto. Pontificava ex cathedra, descrivendo, come Berlusconi, il paese dei balocchi: nuove strade, piscina, campi da tennis, soldi per la cultura e chi più ne ha più ne metta. Mentre registravo le sue risposte, dal corridoio del primo piano di Palazzo di Città il via vai di gente era impressionante, mi sembrava, a dire il vero, di essere in un suk a Instanbul dove la gente baratta di tutto. Nel frattempo il Messia seguitava a narrare un paese che non c’era: un paese vuoto, un paese insensibile, stanco e nauseato. Alla Pravda sangiovannese molti navigatori hanno scritto contro l’intera classe dirigente: non sarà, per caso, che essa è lo specchio della popolazione che, due anni or sono, votò per questi politicanti?!

Il grande distributore di mani è l’artefice di questo sfascio: a lui spettavano tanti onori ma, soprattutto, tanti oneri. La bussola che avrebbe dovuto seguirlo lungo tutto il percorso si è smarrita; i consiglieri, come accadde per l’altro disastro di nome Squarcella, ben presto si sono dimostrati degli impenitenti gaffeur, volgari, arroganti e bugiardi.

Qualche giorno fa, in una conversazione avuta a casa dello storico Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni a Roma, e bistrattato dalla vecchia amministrazione capeggiata dal grande distributore di mani, discettavamo, in una cornice accogliente dove i libri la facevano da padrone, sul presente della nostra città. Il professore mi ha detto: “Quella città non la riconosco più: da quando mi sono trasferito qui a Roma ha subìto un’involuzione impressionante. Occorre, a questo punto, puntare solo ed esclusivamente sui giovani”.

Lo scenario, adesso, è quanto mai cupo e avvilente. Ancora una volta ci tocca ripartire da zero, nonostante la gente, quella perbene, sia nauseata e schifata. Cosa succederà, dunque?

Quali manovre si metteranno in moto? Chi avrà il coraggio di mettersi in gioco? Quante liste, adesso, si formeranno? Cosa faranno gli attuali componenti dell’intero consiglio comunale? Vedrete che ognuno farà la morale all’altro; ogni gruppuscolo cercherà di sputare fango sulle altre piccole lobby che si annidano tra le torbide stanze dei partiti e di Palazzo di Città.

E chi penserà alla collettività? Quale sarà il demiurgo che con il bastone (senza carota, ovviamente, visti i tempi) detterà i tempi di una attesa rinascita? Mala tempora currunt…



PS: Mi chiedo, inoltre: come farà la Inge Feltrinelli della nostra città, vale a dire Lauriola, a organizzare i suoi mega eventi culturali, Che ne sarà del povero Crisetti, chiamato a giudicare le grandi opere? Come verranno scelti i magnifici Zibaldoni leopardiani che, tra un mignon e un crodino, offerti generosamente dal Pasteus, saranno illustrati nel medesimo centro di ritrovo socio-eno-gastronomico-cultural per la Belle Epoque sangiovannese? E i cenacoli? E le rassegne? Ah dimenticavo… Ha già nel suo fittissimo calendario Travaglio, Stella, Odifreddi, Beha…

lunedì 17 settembre 2007

Senza Parole 2

Tante parole per non dire nulla! L’incapacità di Lauriola di accettare la provocazione e trasformarla in azione concreta è ormai cronica. Il provincialismo di Lauriola è un dato di fatto assolutamente apodittico.

Rispondo al commento della libraia, ponendole qualche umile quesito: come mai in altri paesi molto meno noti del nostro, gli autori accettano di buon grado l’invito a presenziare le loro fatiche letterarie?

Come mai i soldi negli altri paesi – non tanti comunque – si riescono a reperire con una certa facilità, e da noi, nonostante il vorticoso giro di miliardi ruotante intorno alla figura desacralizzata di Padre Pio, si reperiscono solo le briciole?

Come mai – era quello che avevo consigliato – Lauriola non ha chiesto un sostegno economico e sponsorizzazioni varie alle banche, al Comune, agli albergatori o alla Provincia? Valeria, mi sa, vorrebbe avere la botte piena e la moglie ubriaca… e ciò non è assolutamente possibile.

Lauriola, inoltre, dovrebbe sapere che dietro la scrittura di un libro c’è tanta fatica, sacrificio, impegno: mi sembra normale, quindi, che chiedano gli illustri – trattati dalla libraia con un certi disprezzo – un compenso.

Il rovescio della medaglia, però, mette in luce – ma il cervello di Lauriola non ha questa arguzia – che una rassegna letteraria di questo livello, con nomi del genere richiamerebbe gente da tutta la provincia e le permetterebbe davvero di sbarcare il lunario, di farsi un nome e di guadagnare un bel po’ di soldie di aiutare il paese a aprirsi culturalmente. Quando organizzai la presentazione del mio libro, invitai lo storico Beppe Vacca e il deputato Peppino Caldarola. Ebbene: il chiostro comunale era stracolmo, la vendita buona, pubblicità tanta e confronto di livello. E sapete quando spesi per invitare i due relatori: zero euro!

Occorre tanta volontà, voglia di rischiare, poca permalosità, tenacia e pochi fronzoli. Ad oggi, Lauriola non ha dimostrato queste capacità, checché ne dicano lei e i suoi amichetti, poco propensi ad accettare qualche critica, oggettiva e reale.

Se è contenta di quello che ha fatto – Ciccone, D’Apolito, Luciani – stappiamo una bella bottiglia di champagne e, mogi mogi, andiamo tutti a festeggiare la Rinascita socio-culturale di San Giovanni Rotondo e i mega successi di Lauriola e compagnia bella, pronti, inoltre, a cancellare il link del mio blog dal portale Sangiovannirotondonet.it quando si scrive qualcosa di sgradito.

Il mio non è assolutamente astio, ma cerco di raccontare i fatti così come si svolgono; non è mia intenzione – checché se ne dica – diventare il Don Chisciotte della città né, tantomeno, vittima di questa società: ho le spalle troppo larghe. La povera (di tasca e di mente) Lauriola non sapendo a cosa appigliarsi, in un commento prolisso, noioso e ridicolo, si scaglia contro di me solo per coprire le sue copiose defaillances.

E poi basta con questi “vorrei”: se si hanno delle capacità questi “vorrei” possono diventare fatti reali.


 


PS: prenda sul serio quelli che le fanno comodo. Di certo dormirò sonni tranquilli e sereni anche senza il suo avallo.

martedì 11 settembre 2007

Senza Parole

Niente di nuovo sotto il cielo sangiovannese! Sempre la solita solfa. Qualcuno si chiederà: perché Melchionda dice questo? Vi spiego il perché. Mesi fa, subito dopo le feste pasquali, in una conversazione piacevole, la titolare della libreria Fahrenheit, Valeria Lauriola, mi chiese, sapendo dei miei contatti con Roma e Milano, di darle un aiuto nell’organizzare eventi culturali – convegni o presentazioni di libri – di altissimo profilo. Eventi che, al contempo, avrebbero dato lustro alla città – una delle più misere a livello culturale - notorietà e, perché no? soldi a Lauriola.

La mia risposta, al suo invito, fu immediato e disinteressato: era ora – mi dicevo – che qualcuno/a cercasse di fare cose degne di nota. Pertanto, nell’arco di pochissimi giorni, ottenni l’ok di personaggi che nella vita pubblica del Paese esercitano un’influenza di non poco conto.

Per dovere di cronaca, e senza nessun tipo di arroganza o vanteria, vi elenco gli autori che avevano dato la disponibilità a raggiungere San Giovanni Rotondo: Marco Travaglio, Piergiorgio Odifredddi, Candido Cannavò, Olga D’Antona, Gian Antonio Stella, Guido Rossi, Darwin Pastorin, Guido Rossi, Francesco La Licata, Oliviero Beha, Gustavo Zagrebelsky, Massimo Fini e Riccardo Iacona. Quando portai a Lauriola l’elenco, prestigioso, degli scrittori, giuristi, giornalisti che avevano dato l’avallo al mio invito, la sua reazione fu entusiasta. Aveva capito che poteva davvero sbarcare il lunario!

Con il sostegno dei ‘Presidi del Libro’ e i nomi summenzionati, in città si poteva – finalmente! – uscire dal cono d’ombra. Era l’occasione, a mio modesto parere, per sprovincializzare, almeno un po’, San Giovanni Rotondo. A distanza di mesi, oramai, cosa mi ritrovo a leggere sul portale della città? Che l’assessore Crisetti, insieme a Lauriola, Giovanni Piano e Grazia Centra presiederanno la giuria del concorso letterario intitolato: “Amore, amicizia e altri legami”. Per dirla in poche parole, la classica sagra paesana, inutile e ridicola. Stiamo messi davvero male…!



PS: Questo breve resoconto cronistico l’avevo inviato nella sezione dei commenti dell’articolo “La festa dei lettori” sul portale Sangiovannirotondonet.it. Qualcuno mi sa dire per quale motivo mi è stato censurato?

lunedì 14 maggio 2007

Il Partito della Restaurazione

Questa società italiana appare putrefatta e moralmente fiacca. Tutta, non soltanto il governo e il sottogoverno: tra chi sta dentro il palazzo e chi sta fuori c’è corrispondenza. La corruzione dei politici e dei loro manager è una costante della vita politica italiana: nasce soprattutto dal bisogno di procurarsi l’enorme quantità di soldi che i partiti e le loro correnti divorano, coinvolge tutti o quasi, creando una ragnatela di reciproci ricatti.


(Norberto Bobbio)


Durante gli anni del suo segretariato, il Chiacchierone, il Grande Distributore di mani, il Signor Sì (ma solo a parole) della politica sangiovannese, il nuovo Pseudo-Messia della città, l'uomo delle tessere, vale a dire Salvatore Mangiacotti, sindaco diessino – lo spero fervidamente – con i giorni contati a Palazzo di Città, aveva promesso cambi radicali, rivoluzioni, un rinnovamento generazionale, da molti auspicato, all’interno del suo partito; e in effetti, l’avventura partì sotto i migliori auspici: nuove teste pensanti, un programma politico finalmente diverso, riscoperta di ideali coperti fino ad allora da una spessa coltre di indifferenza ma, soprattutto, di ignoranza, entusiasmo alle stelle, volontà di mettersi in gioco furono alla base del successo politico e personale dell’attuale sindaco.

Il gruppo dirigente che gestiva le sorti del partito fu determinante e deciso nell’appoggiare la candidatura a sindaco di Mangiacotti che, più di due anni or sono, aveva tutte le carte per meritarsi quella candidatura: il lavoro da consigliere comunale raccolse applausi, consensi, sostegno anche da quelle persone che politicamente erano schierate con uno dei peggiori centro-destra che la storia politica sangiovannese ricordi.

Quel gruppo dirigente che, nel momento dell’insediamento, si era posto l’obiettivo, ambizioso, di far fare alla politica in generale quel salto di qualità indispensabile, doveroso che tutti attendevano con trepidazione.

Quel salto di qualità che avrebbe dovuto eliminare dall’agone politico tutte quelle persone che al partito e alla città avevano solo fatto del male.

Cos’è avvenuto, nel frattempo? Cos’è mutato nelle stanze della Quercia? Che fine ha fatto quel patrimonio di progetti, idee, speranze, amicizie, sogni? Come mai la casa diessina si è ben presto trasformata in un grandissimo e velenoso viperaio dove tra anfratti più o meno segreti si annidano tante lingue pericolose e cancerose?

In un torno di tempo, però, molto breve, e dopo la parentesi mediocre e avara di risultati concreti di Giuseppe Lauriola – che per l’unità del partito ha rinunciato a denunciare la deriva restauratrice, misoneista, affaristica del medesimo – il partito diessino è ripiombato nella più profonda crisi politica e morale degli ultimi sei anni.

Il bugiardo Mangiacotti, che nel suo periodo migliore aveva promesso, anche pubblicamente, che i vari Dragano, Marcucci, Siena – la triade ‘mitica’ di San Giovanni Rotondo – sarebbero spariti dalla scena politica, perlomeno da quella del partito della Quercia. E invece? E invece i redenti, forti delle tessere a disposizione all’interno dei Ds, sono più che mai vivi; più vitali di qualche anno fa; l’età – che per tutti noi trascorre in maniera inesorabile – per i tre redenti sembra non passare mai.

E per i poveri e comuni mortali le palesi menzogne del sindaco Mangiacotti, si son rivelate vere e proprie mazzate; mazzate che hanno distrutto il sogno di tanti militanti che ancora credono nella politica.

Qual era il sogno che tanti fantasticavano durante la notte? Semplice: che la triade – e a questa ci aggiungo anche i vari Urbano, Longo (il moralista, una volta persa la poltrona di assessore), Ciuffreda (la donna che crede solo in sé stessa), De Angelis (il falso ideologo del partito), Martino (la senilità politica ancora non gli rende chiari i suoi progetti futuri), il disastroso Mangiacotti (ogni mattina, quando mi sveglio, la prima domanda che mi pongo: è la seguente: chi prenderà per i fondelli il signor Sindaco?) – venisse una volta per tutte disintegrata. Era questo, d’altronde, uno degli obiettivi che si erano posti i maggiorenti di allora, di adesso, di domani, di dopodomani e del nuovo millennio…

I sogni, però, si son trasformati in veri e propri incubi: Dragano (il Sommo Poeta del partito, il Dante Alighieri della città), dopo il nulla rasentato in occasione del suo segretariato, e nonostante abbia tuttora la vergognosa impudenza di affermare che con la politica ha ormai chiuso definitivamente, è, a tutti gli effetti, membro del mastodontico direttivo che l’ultimo congresso sezionale ha partorito, così come il sodale Marcucci, sempre sulla cresta dell’onda; Siena, nonostante il palese conflitto d’interessi tra l’incarico pubblico e la professione che esercita, scelto addirittura dal sindaco Mangiacotti come assessore per la sua “comprovata esperienza e capacità”, secondo le parole pronunciate dal sindaco in occasione di un’ intervista.

E gli altri? Cosa hanno fatto gli altri davanti a questo ritorno? Ad un ritorno, povero e miserevole, dello status quo? Semplice: come tante pecorelle ‘smarrite’ si sono accodate al nuovo pastore diessino che dovrà traghettare la Quercia verso la creazione del Partito democratico, vale a dire Colella, il catto-comunista che un giorno incensa la Chiesa e l’altro, invece, benedice il mito di Berlinguer.

È un partito alla deriva, dove l’ateismo è stato sostituito dal più fervido clericalismo, il rinnovamento alla restaurazione, gli ideali al più bieco affarismo, la democrazia all’oligarchia, la visione differente del partito alla formazione di tante minicorrenti l’una in competizione con le altre.

Tutti a lamentarsi dello sfascio del proprio partito, ma nessuno – dico nessuno! – che abbia il coraggio non solo di denunciare il tutto, ma anche di dimettersi dalla carica che ricopre: consigliere, assessore e chi più ne ha ne metta…

È il fallimento, in primis, delle generazione dei cinquantenni-sessantenni, quelli che hanno comandato il partito, prima come comunisti e poi come ex-comunisti, per decenni; ma è il fallimento – e qui sta, forse, forse la gravità della situazione – dei quarantenni, quelli che, oggi, sono nelle stanze dei bottoni, nei saloni decorati del potere, pieni di riverenza e servitù; quel potere che ha offuscato le menti, molto labili, dei governanti diessini, governanti pieni di arroganza e perfidia; quel potere che ha fatto perdere il contatto con la realtà, quella dura e piena di sacrifici a cui la gente è sottoposta. È il fallimento, quindi, di due intere generazioni, verso le quali molti avevano riposte tante speranze. Un fallimento che non ammette scusanti o giustificazioni. Un fallimento partorito volutamente, che ha tante madri e tanti padri.

Per i tanti militanti che hanno creduto seriamente alla politica è giunta l’ora più triste e dolorosa: quella della disillusione, del ritorno a casa, un ritorno mesto, a testa bassa, con la bandiera ripiegata su stessa, una bandiera da riporre nel più nascosto armadio di casa, in attesa – ma ci sarà un’altra occasione di riscossa, mi chiedo? – di una pronta rivincita verso coloro che hanno distrutto, e forse in maniera irreversibile, il sogno di tanti onesti cittadini.

Chiedo in questa occasione: cosa ha impedito, dunque, le pecorelle ‘smarrite’ a tacere per l’ennesima volta di fronte ad uno schiaffo così sonoro e doloroso?

Per quale motivo, dunque, nessuno o quasi, denuncia il fatto che ogni minicorrente presente nel partito ha una certa influenza nelle scelte affaristico-clientelari in base al numero di tessere?

Da che cosa dipende questo atteggiamento volutamente discriminatorio?

Signor Colella, aspettiamo dal suo pulpito una qualche spiegazione in merito.

Sarà vana l’attesa…?

mercoledì 2 maggio 2007

Spazio e fiducia ai ragazzi!

Conosco Claudio Mischitelli da tantissimi anni; in passato, molto prima della ribalta mediatica, e dopo alcuni miei scritti sulla nostra città, ebbi più volte la possibilità di scambiare pareri, idee sui temi che ogni cittadino sangiovannese dovrebbe avere a cuore, ma che – ahimè – poco toccano la sensibilità dei miei concittadini: una politica davvero diversa, l’impegno verso i ragazzi deviati dalle piaghe che tutti conosciamo, le tematiche ambientali di stringente e rilevante interesse etc…

Dopo essere venuto a conoscenza della sua nomina a coordinatore locale di “Forza Italia Giovani” – una sana e pulita novità nel mare magnum asfittico, corrotto e noioso della politica sangiovannese – decisi, dopo un incontro privato, di capire realmente cosa avesse spinto Mischitelli a gettarsi nell’arena politica (un “bellum omnia contra omnes”, secondo la felice espressione del filosofo Hobbes) della nostra città; gli chiesi, pertanto, se aveva voglia di rilasciare un’intervista al sottoscritto: la sua risposta fu immediata e senza nessun tipo di tentennamento. Si vedeva che il giovane coordinatore avesse voglia di parlare, in primis ai suoi coetanei, di esternare il suo pensiero politico – ancora in fase di maturazione. Traspariva anche dal suo gesticolare il desiderio di buttarsi subito a capofitto nell’agone politico. Il lavoro, del resto, che c’è da fare, soprattutto nella sua fazione, è davvero tanto: tenacia, fantasia, senso delle istituzioni, grinta, coraggio, vis polemica non devono assolutamente mancare se veramente si vogliono risollevare le sorti e del partito forzitaliota e della politica della nostra comunità.

Mi lascia ben sperare che un partito come Forza Italia, guidato pro tempore da Santarsiero, abbia deciso di seguire la politica del rinnovamento e del ricambio generazionale: ogni tanto, a mio parere, bisogna investire nei ragazzi, dargli fiducia, saperli aspettare, anche se sbagliano.

Spero solo che la fiducia e la disponibilità che molti nutrono – almeno per ora, giustamente – nei suoi confronti non vengano tradite…




* * *



- Claudio Mischitelli, da qualche giorno ormai, è diventato coordinatore locale del circolo Forza Italia giovani. Com'è maturata tale scelta all'interno del vostro movimento?

- Da parte mia c’è sempre stato interesse verso la politica e verso “Forza Italia”, ma ho deciso di intraprendere solo ora questo percorso sia per motivi anagrafici, sia per le note vicende che hanno portato il partito negli scorsi anni in mano a gente che, a torto o a ragione, non perseguiva i miei obbiettivi, e più in generale quelli che un partito che si presenta come alternativo alle sinistre è tenuto a perseguire. Nel 2005, dopo la batosta elettorale delle amministrative, ci eravamo ripromessi con Alessandro Santarsiero di risentirci non appena ci fossero stati dei segnali positivi. E la telefonata di Alessandro di qualche settimana fa è stata l’inizio di alcuni incontri che hanno sancito il mio ingresso in “Forza Italia Giovani”.


- Il partito di Forza Italia, da anni riversa in una acuta e cronica crisi non solo politica ma anche morale visti anche gli scandali amministrativi perpetrati dall'ex sindaco Squarcella e sodali. Come pensa di attrarre le cosiddette nuove leve, troppo impaurite e nauseate dai torbidi giochi della politica sangiovannese? Con quali atti intende avvicinarsi ai ragazzi?

- Penso che bisogna mettere i ragazzi di ogni ceto sociale e fede politica di fronte allo stato attuale delle cose. Le porto un esempio: se non si interviene sul sistema previdenziale io, lei e la maggior parte dei ragazzi appartenente alla nostra fascia di età non avremo una pensione. E, anche se l’attuale governo cerca di camuffare dietro falsi problemi questa grande piaga del nostro paese, la sinistra radicale non ha intenzione di “ritoccare” il sistema pensionistico attuale. Proprio quella sinistra che si dice così vicina ai giovani ed alle loro problematiche.

Potrei stare qui a citarle una valanga di altri esempi, sugli incentivi ad intraprendere un’attività privata, sulla sicurezza e quant’altro. Ma il problema è far capire a tutti, ed è una battaglia che già combatto quotidianamente, che se non ci svegliamo il collasso del sistema sarà inevitabile.


- Non pensa anche lei che il lavoro più faticoso che l’aspetta, a patto che lei riesca a dimostrare veramente di valere e di contare non solo nel suo partito, sia quello di formare politicamente, culturalmente e civicamente le tante masse giovanili, ignoranti e insensibili sui temi più scottanti? Se sì, attraverso quale percorso formativo?

- Sensibilizzare il giovane su tematiche che si avvicinano molto al “politichese” è indubbiamente difficile, ma un po’ per cultura, un po’ per indole, sono abituato a vedere le cose con un certo ottimismo, anche perché nascondersi dietro al problema non aiuta sicuramente a risolverlo.

Le politiche giovanili per ovvi motivi mi hanno sempre affascinato e cercherò per quel che mi compete di riuscire a far comprendere i problemi e di trovare insieme una soluzione da proporre a chi di competenza.

Per quanto riguarda i temi più scottanti, per non generare ulteriore confusione, mi avvarrò di politici e tecnici del settore che di volta in volta tratteremo. Ho già avuto il piacere di conoscere anche in ambito regionale e nazionale persone molto disponibili in questo senso.


- Nella nostra città – e mi ricollego alla domanda precedente – la politica e l’universo-giovani sembrano due rette parallele che non si incontrano mai; anche negli altri partiti, e in primis in quelli di centro-sinistra, il distacco è sempre più palese.

Ha in mente delle iniziative che chiamino alla partecipazione collettiva anche ragazzi, magari con idee e progetti completamente diversi dai suoi? Se sì, quali sono?

- Com’è giusto che sia in una sana democrazia le varie correnti politiche hanno modi diversi di risolvere i problemi, ma questi ultimi sono comuni a tutti noi. Per questo credo che almeno in ambito giovanile su certe tematiche si possa convergere in soluzioni trasversali. Questo, le assicuro, è uno dei miei obiettivi principali e probabilmente i buoni rapporti che ho con molti dei ragazzi delle altre fazioni politiche potranno essermi d’aiuto.


- In una città come la nostra, dove l’intreccio tra affari, atti amministrativi, misfatti più o meno indecorosi è difficile da districare, un ruolo fondamentale dovrebbe svolgerlo la stampa locale che, a mio modesto parere, sui grandi e delicati temi è pressoché inesistente. Un mio maestro di vita, Paolo Sylos Labini, grande economista e intellettuale, che non ho avuto la fortuna di conoscere, diceva sempre che “ogni partita importante si ‘gioca’ sulla informazione vera dei fatti”.

Avete, magari nell’immediato futuro (spero non troppo lontano), in cantiere la creazione di un foglio d’informazione alternativo, magari ideato proprio dai ragazzi, capaci e coraggiosi, che – è giusto ricordarlo sempre – rappresentano il futuro di questa città, ancorata, purtroppo, a idee, princìpi, stili di vita demodè, arcaici e dannosi? Il destino futuro di questa città, caro Mischitelli, ruota tutto intorno all’informazione, al fatto che la gente, quella onesta e disinteressata, sappia interamente quello che avviene nelle segrete stanze di Palazzo di Città…

- Nella vita ed in politica, nel bene e nel male, la comunicazione è tutto. Ne è la dimostrazione la sconfitta elettorale del Presidente Fitto alle Regionali 2005 che a mio parere ha ben governato, ma non ha saputo comunicare adeguatamente i risultati ottenuti. Fatto sta che ora a “governare” la Regione Puglia c’è il centro-sinistra che ha fatto del bombardamento mediatico con gli slogan che tutti ricordiamo il suo cavallo di battaglia nella campagna elettorale. Certo poi amministrare è tutta un’altra cosa, e ne sono la dimostrazione i risultati di Vendola e compagni, richiamati con durezza al “cambio di rotta” dai propri ministri proprio qualche settimana fa. Per quanto riguarda “Forza Italia Giovani” ci stiamo muovendo sia a livello telematico sia a livello cartaceo con un progetto che illustrerò spero entro le prossime settimane. Questo chiaramente potrà avvenire solo dopo che il gruppo avrà concordato gli scopi da perseguire.


- Molti nostri coetanei, offuscati da certi modelli mediatici, sono stati attratti da una spirale tanto perversa quanto cancerosa: di fronte a determinate e gravissime piaghe sociali, come l’alcool e la droga, che poi sono il rovescio della medaglia dell’enorme ricchezza piovuta immeritatamente su questa città, da ragazzo attento – spero sempre – alle tematiche (e problematiche) dei giovani sangiovannesi, in quale direzione cercherà di orientare l’azione politico-sociale del suo movimento?

- Guardi, potrei iniziare ad elencare in merito le solite frasi fatte, ma cadrei nella più squallida demagogia del benpensante di turno. Il problema è evidente. Manca in gran parte dei ragazzi d’oggi la consapevolezza del limite e un’educazione di base forte. Possiamo star qui a parlare ore ed ore di benessere e quant’altro. Ma se i papà non iniziano a “tirar fuori la cinta” che hanno riposto troppo frettolosamente nell’armadio, ogni discorso è superfluo. Noi nel nostro piccolo cercheremo in ogni modo di fare il nostro dovere.


- Dopo la disastrosa parentesi amministrativa di Squarcella e compagni, la nostra città, dopo un breve periodo di commissariamento, è governata da un sindaco giovane, schierato con il centro-sinistra, capace però di farfugliare tanti bla-bla, e di prendere per i fondelli i tanti simpatizzanti (soprattutto giovani) che avevano creduto in lui. In che modo pensate di incalzare questa sgangherata coalizione, vista la totale nullità dell’opposizione?

- Chiarisco subito, come ho già avuto modo di dirle in un colloquio informale che abbiamo avuto qualche giorno or sono, che nutro profondo rispetto per il Dott. Mangiacotti e gli amministratori della sua coalizione, che sono stati democraticamente eletti dai miei concittadini. E’ sotto gli occhi di tutti però che il paese da due anni è completamente fermo, fatta eccezione per qualche “provvedimento-contentino” che di tanto in tanto il centro-sinistra promuove. La mia opinione resta la stessa di qualche tempo fa: il Dott. Mangiacotti era davvero intenzionato a cambiare il nostro paese e probabilmente era in buona fede quando fece promesse in lungo ed in largo. Il problema, e ritorno a quanto già ho detto prima, è che amministrare è un’altra storia. E il centro-sinistra si è dimostrato come sempre totalmente incapace di farlo, da un lato per una mancanza concreta di idee serie, dall’altro perché prigioniera di chi mette l’interesse dei cittadini sempre in secondo piano. E’ però altrettanto evidente che il centro-destra è ancora in “coma farmacologico” dopo la “calamità politica” dal quale è stato investito negli ultimi anni. Ma la ripresa c’è, le segreterie sono in fermento ed i contatti sono già ben avviati. Sono fiducioso!


- In quale direzione deve muoversi il partito di Forza Italia, attualmente commissariato dal rampante Santarsiero.

Quali sono gli errori che un partito come il vostro – senza radici storiche e culturali e da anni pressoché inesistente – non deve commettere in prospettiva, se veramente vuole rappresentare l’alternativa a questa sinistra?

- Risposta da un lato retorica ma che rispecchia la realtà: bisogna fare un passo alla volta. Partiamo in ogni caso da un dato incoraggiante. Il popolo sangiovannese è vicino al nostro partito e i 2800 voti delle ultime politiche ne sono la testimonianza concreta. Ma la pecca di “Forza Italia”, e lo riconosciamo senza alcun problema, è sempre stata quella della militanza. E questo distacco con i cittadini è reso palese in ambito locale.

Il nostro gruppo cercherà di farsi carico delle aspettative che ogni giovane deve poter pretendere. Il confronto sarà forte e spero costruttivo sia all’interno del partito stesso, sia con le istituzioni.


- La spaventa dover fronteggiare i tantissimi lupi mannari presenti nel suo partito, pronti a tutto pur di raggiungere l’obiettivo, losco e torbido al contempo, che si sono prefissati?


- Un’intervista senza le giuste provocazioni, ”preconfezionata”, perderebbe di enfasi e risulterebbe sterile. Ma nella fattispecie penso sia prematuro fare un processo alle intenzioni di un gruppo che è ancora in via di formazione. E’ chiaro che, se e quando ce ne sarà l’occasione, tirerò fuori la vena polemica e costruttiva che è propria del mio DNA. E le assicuro che certe situazioni, per quanto appaiano quasi ridicole rispetto alle magagne che la parte politica a me avversa sforna in continuazione, non le faremo passare inosservate.

mercoledì 25 aprile 2007

La piaga del lavoro nero

E’ l’informazione sulla verità vera dei fatti che dà coraggio. Solo la verità può rendere liberi quanti oggi non vogliono essere schiavi.


(Paolo Sylos Labini)


Qualche settimana fa, in occasione dello scritto sul fenomeno immigratorio presente nella nostra città, sostenni, seppur en passant e senza dubbi o paure di ritorsioni, che lo sfruttamento (strettamente collegato al problema-razzismo) negli ambienti di lavoro, e in modo particolare nelle decine e decine di alberghi e ristoranti, aveva raggiunto picchi elevatissimi; un fenomeno dilagante, esteso, quasi inestirpabile tanto è la complicità per non dire collusione, a partire dalla popolazione per finire ai vertici delle istituzioni.

In questa occasione, vorrei soffermarmi, quindi, sul lavoro sommerso, su quanto avviene non solo nell'ambito della ristorazione; i tentacoli malevoli e cancerosi del lavoro nero sono estesi anche nei seguenti settori: edilizia, attività commerciali (piccole o medie poco importa), imprese di pulizie; non si può, ovviamente, dimenticare, quello che avviene nelle micro-micro imprese come quelle degli elettricisti, degli imbianchini o dei tubisti: è in questa selva oscura che si annida il precariato e il sommerso.

E se lo sfruttamento, quello più abietto e meschino, colpisce nella stragrande maggioranza dei casi gli immigrati dell’Est europeo e gli extracomunitari, la vergogna del lavoro nero – che tanti guadagni procura ai nostri pseudo-imprenditori – è un fenomeno che oramai interessa anche i cittadini sangiovannesi.

Una illegalità diffusa, percepita dagli abitanti come un qualcosa di assolutamente normale, giusto, regolare.

Quanti, in effetti, si ammutinano di fronte a tale scempio? Quanti, ad essere onesti, decidono di denunciare il tutto alle autorità competenti? Il tanto famigerato, e mai in disuso, embrassons-nous è sempre in voga nella nostra città.

Cosa manca, quindi, perché ci si possa ritenere civili e moderni?

Innanzitutto la cultura della legalità in senso lato, il rispetto per l’uomo e per la sua dignità da troppi calpestata e da nessuno, o quasi, difesa.

Parlando con amici o semplici conoscenti, il quadro dell’attuale situazione è il seguente: si comincia con un periodo di prova (il cosiddetto contratto da apprendista), superata la quale si promettono garanzie, tutele e un lavoro finalmente normale.

Peccato, poi, che le promesse non corrispondano alla realtà vera dei fatti: il lavoro si trasforma in una eterna odissea nella quale le vessazioni, paghe da fame, soprusi e illegalità più o meno diffuse sono il fondamento di una società profondamente incivile e allergica al rispetto di semplici regole.

Molti ragazzi, condizionati anche dall’ignoranza e dall’ottusità mentale dei genitori, sono costretti a subire, e in silenzio lo status quo; altri, invece, stanchi e ribelli della situazione, preferiscono armarsi di pazienza e bagagli e partono per luoghi finora inesplorati ma, forse, più degni di essere vissuti.

Stupisce, in questo quadro così fosco, il silenzio dei sindacati locali, troppo intenti a fare politica e poco propensi ad occuparsi di una questione di fondamentale importanza; stupisce, a dire il vero, la quasi totale mancanza dei controlli degli organi preposti a combattere un fenomeno ormai dilagante come quello del sommerso; stupisce, inoltre, come in occasione dei tanti infortuni sul lavoro vi sia una totale collusione tra le strutture sanitarie e l’azienda del malcapitato.

Quanti dipendenti sangiovannesi irregolari, a dir la verità, sporgono denuncia nei confronti del proprio datore di lavoro? Quanti, nelle nostre strutture sanitarie, cercano di scavare e di andare oltre la verità ufficiale e di interpellare gli organi di giustizia, penale o civile poco importa?

Cosa fanno, inoltre, gli organi di stampa e le istituzioni locali di questa città?

Un silenzio assordante: chi per paura di ritorsioni, chi per interessi più o meno oscuri.

Mesi fa, in una trasmissione televisiva il ministro del Lavoro, Damiano, si vantava – ed era un triste vanto, secondo il mio punto di vista – che l’azione da lui perseguita in tal senso avesse portato a risultati rilevanti; più modestamente penso, invece, che il lavoro fatto – pur essendo nella direzione giusta – sia ancora poco, soprattutto se volgiamo lo sguardo nel triste Meridione.

Occorre inasprire, e di molto, le leggi vigenti: comminare pene pecuniarie altissime per chi, volutamente, omette di regolarizzare il personale assunto; aprire (e chiuderle per tanti anni) le porte di una cella per coloro che invece si macchiano di reati come lo sfruttamento e il caporalato che, nelle nostre zone, come testimoniano le indagini della magistratura, sono ancora presenti.

Basta guardarsi in giro e si comprende come la tracotanza, il senso di onnipotenza e il gusto, sadico, del ricatto verso coloro che hanno un disperato bisogno di lavorare che questi vergognosi commercianti e ridicoli imprenditori sangiovannesi mettono quotidianamente in mostra non ha davvero limiti e freni.

Qualcuno, sfiorando il ridicolo, ha così giustificato il proprio comportamento: “Non posso assumerli e, di conseguenza, regolarizzarli perché non posso permettermi di pagargli i dovuti contributi”. Niente di più falso, se poi si va a guardare il tenore di vita di questi criminali del lavoro: ville, auto e vestiti di lusso vanno a rappresentare i lauti guadagni accumulati sfruttando i tanti disperati che accettano di lavorare in penose condizioni e frodando lo Stato (scaricando ad esempio su di esso gli oneri che, invece, dovrebbero assumersi nel momento in cui decidono di fondare una intrapresa), troppo distratto da altre incombenze, magari anche meno urgenti.

martedì 17 aprile 2007

I vandali in casa

In questi giorni, immerso nella lettura di un bel libro sul degrado delle città italiane e sulla devastazione dell’ambiente, ho riflettuto, rifacendomi anche a fotografie dei decenni passati, su quanto è avvenuto nella nostra città nel corso di questi anni; da quando, insomma, la figura di San Pio ha varcato i confini regionali e nazionali.

Riflettevo, quindi, sulla ricchezza, particolarità, bellezza del territorio sangiovannese, ma non solo; ho avuto modo di constatare, e per l’ennesima volta, di quanto potere abbia il denaro, il guadagno e, in senso lato, il potere.

Un potere capace di distruggere, e in un torno di tempo molto breve, bellezze naturali e paesaggistiche millenarie, una devastazione senza se e senza ma, una distruzione delle nostre ricchezze ambientali che ha molti padri, ma che nella città ignorante e barbara qual è San Giovanni Rotondo, non hanno pagato per quanto dovevano, anzi.

Guardandola dall’alto, dalla già deturpata montagna che sovrasta la città, ci si accorge ben presto che la devastazione, nonostante i cambi politici a Palazzo di Città. è ancora in atto; più che una città, sembra un cantiere aperto; gru ed escavatori continuano, dietro la longa manus dei barbari sangiovannesi senza scrupoli, a distruggere quel poco di buono che è ancora rimasto.

In quest’articolo, però, vista la contemporaneità dei suoi scritti, e trasferendo le sue parole di portata nazionale sulla nostra triste realtà di città senza rispetto per nulla, trascrivo quello che Antonio Cederna, ‘padre’ del movimento ambientalista e di tutela dell’ambiente in Italia (quelli di San Giovanni Rotondo, onestamente, mi fanno pena) nonché fondatore del movimento Italia Nostra.

Ogni mia modesta parola, di fronte agli articoli denuncia di Cederna pubblicati sul Mondo di Mario Pannunzio a partire dal 2 luglio 1949, è superflua e, magari, poco ascoltata, vista la schiera dei denigratori che, ormai da anni, mi porto sulle spalle; una schiera che, però, non mi intimidisce, tutt’altro.

Quello che ha scritto Cederna, forse è anche inutile ribadirlo, lo condivido in pieno, dalla prima all’ultima riga. I responsabili dello scempio del nostro territorio sono ancora quasi tutti sulla scena; ovviamente nessuno ha pagato per quello che ha fatto, e quindi oltre al danno si aggiunga pure la beffa.

Gentaglia che meriterebbe la galera, e invece gira indisturbata lungo le strade cittadine, con un ghigno beffardo verso i sempre più isolati cittadini onesti e rispettosi della legalità.

Ma ecco cosa ha scritto Cederna: “I vandali che ci interessano sono quei nostri contemporanei, divenuti legione dopo l’ultima guerra, i quali, per turpe avidità di denaro, per ignoranza, volgarità d’animo o semplice bestialità, vanno riducendo in polvere le testimonianze del nostro passato: proprietari e mercanti di terreni, speculatori di aree fabbricabili, imprese edilizie, società immobiliari industriali commerciali, privati affaristi chierici e laici, architetti e ingegneri senza dignità professionale, urbanisti sventratori, autorità statali e comunali impotenti o vendute, aristocratici decaduti, villani rifatti plebei, scrittori e giornalisti confusionari o prezzolati, retrogradi profeti del motore a scoppio, retori ignorantissimi del progresso in scatola.

Le meraviglie artistiche e naturali del “Paese dell’arte” e “del giardino d’Europa” gemono sotto le zanne di questi ossessi: indegni dilapidatori di un patrimonio insigne, stiamo dando spettacolo al mondo.

Tra le persone civili e i vandali odierni nessun compromesso è possibile”

Di fronte a queste a parole e al coraggio con cui sono state proferite, ogni aggiuntivo commento, ogni fotografia, ogni carta bollata sarebbero superflui.

Bastano, d’altronde, due occhi e la necessaria dignità per accorgersi del degrado nel quale siamo piombati. Un degrado senza rimedio. Un degrado che tutti noi pagheremo caro.

sabato 7 aprile 2007

Il razzismo dei sangiovannesi

“Volevamo braccia, sono arrivati uomini”.

(Max Frisch)



Dopo la caduta del Muro di Berlino e il conseguente crollo del comunismo molti Paesi dell'Europa dell'Est, senza dimenticare ovviamente quelli dell’Africa centro-settentrionale, molto prima dell'ingresso nell'Europa che conta, hanno conosciuto un fenomeno immigratorio forse senza pari nel Novecento; nel corso di questi anni, in effetti, il Paese che ha sentito maggiormente l'ondata immigratoria è stata l'Italia; un'ondata che si è sparsa a macchia d'olio dapprima in maniera omogenea (la Puglia e il Nord-Est furono le prime zone geografiche più interessate dal fenomeno) e, poi, in modo eterogeneo. Albanesi, rom, rumeni, polacchi, marocchini, nigeriani, indiani, filippini, pachistani e cinesi sono quelli che, sopra gli altri, hanno dovuto espatriare dalla loro terra natìa.

Passando dal generale al particolare, però, vorrei soffermarmi, in qualità di semplice cittadino sangiovannese, su quanto è accaduto nella nostra città, sulle trasformazioni sociali e sul livello di convivenza tra la popolazione locale e i nuovi arrivati.

Durante questi anni, vuoi occasionalmente, vuoi dopo incontri, ho avuto modo, e fortuna, di poter individuare, tra la stragrande maggioranza dei miei concittadini, che il sentimento di cui si nutrono quotidianamente nei confronti dei cittadini extracomunitari e dell’Europa dell’Est è dato, senza ombra di dubbio, da un vergognoso e abietto razzismo.

Un razzismo a volte strisciante, in alcuni casi palpabile, in certi frangenti latente, in date occasioni lapalissiano.

Da che cosa discende questo comportamento che tanti danni e morti ha provocato nella storia del XX secolo assassino, secondo la felice espressione di uno dei politologi più rinomati, vale a dire Ralf Dahrendorf?

Secondo il mio punto di vista, questo atteggiamento dipende da un elemento molte volte trascurato, ma spesso decisivo: l’ignoranza della gente, un’ignoranza dovuta ad un invasivo provincialismo e ad una scarsa (per non dire nulla) conoscenza della storia, perlomeno quella recente.

Molti abietti sangiovannesi, arroganti, con le tasche piene di soldi, avidi, abili sfruttatori, fanno finta di dimenticare che non molti decenni fa gli albanesi eravamo noi italiani, e meridionali in particolare.

Il giornalista del Corsera, Stella, anni fa, in un saggio storico-sociologico intitolato “l’Orda, quando gli albanesi eravamo noi”, ha scritto: “La feccia del pianeta, questo eravamo. Meglio: così eravamo visti. Non potevamo mandare i figli alle scuole dei bianchi in Louisiana. Ci era vietato l’accesso alle sale d’aspetto di terza classe di Basilea. Venivamo martellati da campagne di stampa indecenti contro questa ‘maledetta razza di assassini’. Cercavamo casa schiacciati dalla fame d’essere sporchi come maiali. Dovevamo tenere nascosti i bambini come Anna Frank perché non ci era permesso portarceli dietro. Eravamo emarginati dai preti dei paesi d’adozione come cattolici primitivi e un po’ pagani. Ci appendevano alle forche nei pubblici linciaggi perché facevamo i crumiri o semplicemente eravamo ‘tutti siciliani’”.

La storia, dunque, non va mai dimenticata.

Come ha scritto giustamente Frisch, i cafoni sangiovannesi aspettavano braccia – braccia che avrebbero dovuto arricchire le tasche dei nostri comici impresari – e si son ritrovati uomini, uomini con una storia personale di tutto rispetto, con una dignità da preservare, con un orgoglio da difendere, e con una cultura da mostrare a questi bigotti e nani sangiovannesi.

Quando, spesso, si parla della ricchezza che questa città ha saputo accumulare, legalmente e illegalmente, il più delle volte ci si dimentica che un aiuto determinate proviene proprio da questi nostri fratelli, sempre più relegati ai margini della società locale.

Basta, d’altronde, farsi un giro negli alberghi o nelle altre attività commerciali della nostra città per comprendere, e bene, in quale stato sono accolti le centinaia di immigrati, legali e clandestini, che da anni, oramai, fanno parte a tutti gli effetti del nostro vivere comune.

Disprezzo, sberleffi, indifferenza e ostracismo sono, in base a quello che ho visto, il modus operandi che ho potuto riscontrare; un cancro che tanti danni potrebbe recare al vivere civile della nostra comunità; il livello di sopportazione ha raggiunto picchi che, quando meno ce lo aspettiamo, potrebbero scatenare rivolte sociali poi difficilmente sanabili.

Mi son chiesto: sarà paura del nuovo arrivato? Difficile. Desiderio di difendere la cultura locale? Impossibile anche perché non abbiamo né una cultura né degli intellettuali che la sappiano propagare.

Nei discorsi della gente, quindi, si sente parlare di questi immigrati come di criminali, di bande assassine dedite perlopiù allo spaccio, al latrocinio e alla violenza. È un modo, questo, per nascondere e fingere che gli unici responsabili, morali, politici e sociali, dello sfascio di questa città sono proprio gli abitanti locali. Si scarica su questa povera gente colpe solamente nostre. È un modo, questo, di ritardare un profondo esame di coscienza di cui tutta la collettività ha davvero bisogno; un bisogno impellente, doveroso, obbligatorio che si seguita a rinviare sine die.

Ogni tanto vorrei sentire dall’associazione degli albergatori, presieduta se non vado errato da Franco Fini, qualche mea culpa sullo sfruttamento indecoroso e penalmente perseguibile che ai giorni nostri è davvero inaccettabile; qualche mea culpa sulle omissioni che nel corso di questi anni sono state interpretate ai danni di questi cittadini del mondo, senza tanti affetti e senza una dimora sicura.

E invece? Invece, tutti tacciono: forze politiche, forze dell’ordine, parrocchie, associazioni e stampa (ma esiste davvero una stampa degna di questo nome nella nostra città che sappia denunciare le malefatte che vengono perpetrate ai danni della gente perbene?). Tutti tacciono perché il dio denaro, il progresso, l’arricchimento sfrenato e illegale contano molto di più dell’essere umano, soprattutto se questi ha un colore, religione, razza diversi da quella italiana.

D’altronde, di fronte al nanismo di questo sindaco, alla decrepitezza dei nostri parroci, e all’illegalismo dei nostri pseudo-imprenditori, all’indifferenza di buona parte della cittadinanza ogni discussione su un tema così scottante e delicato è solo esercizio retorico…

lunedì 12 febbraio 2007

Sindaco, vada a casa!

Sindaco Mangiacotti,

son passati quasi due anni dall’insediamento a Palazzo di Città della sua giunta; dopo gli anni nefasti e incresciosi della giunta Squarcella, senza dimenticare ovviamente quelli del commissario prefettizio, l’aprile del 2005 sembrava dovesse essere ricordato come il mese del grande risveglio dopo anni di letargo, crisi, decadimento politico, morale e sociale.

Gli esiti alle urne furono per lei a dir poco trionfanti; il codazzo di lacchè che si portava appresso era già pronto per festeggiare la grande abbuffata che intorno a lei si stava già preparando e apparecchiando; d’altronde, l’umiliazione dei suoi oppositori fu cocente e senza possibilità di accampare scuse.

I vari Impagliatelli, Canistro, Pennelli, Scaramuzzi, De Bonis dimostrarono tutta la loro inefficacia e incompetenza nel condurre la campagna elettorale: impacci, aridità culturale e poco appeal furono, a mio parere, alla base del loro clamoroso e scontato insuccesso. Un insuccesso non solo politico ma, soprattutto, personale.

Lei, miracolosamente, fu in grado di trarne vantaggio; un vantaggio mastodontico, frutto dello scontento che serpeggiava tra gli abitanti sangiovannesi e delle promesse (chimeriche) che lei aveva distribuito come neanche Gesù Cristo!
I suoi sepolcri casalinghi verranno ricordati per anni: di casa in casa, di domicilio in domicilio dal saccone elettorale regalava pani e pesci, come nella peggiore tradizione democristiana.
Gli illusi e sbalorditi paesani, inginocchiatisi all’arrivo del nuovo messia, le diedero fiducia e preferenze. Un patrimonio di oltre 8 mila voti. Un patrimonio che, almeno in principio, sembrava invulnerabile, immarcescibile.

Dopo il viaggio sulla Luna, durato quasi un anno, il ritorno alla realtà, quella vera, è stato terribile e doloroso. Le promesse che lei aveva distribuito a man basse si sono trasformate in cambiali da rispettare; l’ufficio di Palazzo di Città pare sia diventato un grande ufficio di collocamento dove grandi e piccini, bavosi e disperati e illusi, cercano in tutti i modi di farle rispettare il mega-contratto che con i medesimi aveva stipulato mesi or sono.

La sua testa, Sindaco Mangiacotti, a furia di emettere vergognosi e ipocriti yes, pare oramai una palla che, continuando a rotolare, non riesce più a fermarsi. Un frullatore in perenne movimento.
La sua maggioranza, Sindaco, che sembrava ferrea e immune da qualsiasi ribaltone, si è convertita ad un grande colabrodo; la sua giunta, un continuo ribaltamento di poltrone: persone sbagliate al posto sbagliato; partiti, Ds e Sdi in primis, trasformati in comitati esclusivi dove l’accesso è riservato ai fedelissimi.

In questi giorni, Sindaco, come lei saprà meglio di chiunque altro, il suo’amato’ vice-sondaco, il famigerato Cappucci (il nipotino è già pronto per succedergli), è stato sfiduciato palesemente da membri dello stesso partito che fino a qualche mese fa erano i più fidati commensali del caporione socialista. Bene.

Sindaco Mangiacotti, a ben guardare, definire il suo governo in crisi è a dir poco superfluo. Cambi di poltrone, mozioni di sfiducia, ritorni in politica vergognosi sono i motivi principali che dovrebbero indurla a dimettersi in quanto principale responsabile di questo sfascio. Uno sfascio prevedibile perché con questa giunta non si poteva andare da nessuna parte. Uno sfascio ancora rimediabile se lei avrà il coraggio, l’onestà intellettuale, la dignità di rimettere nelle mani degli elettori il mandato che tanto fiduciosamente e speranzosamente le avevano conferito.

Cosa aspetta a fare il passo necessario, obbligato? Cosa deve ancora accadere perché lei abbandoni la vellutata e ben remunerata poltrona di primo cittadino?

Se ha rispetto per se stesso, torni a casa e si ritiri a vita privata. Per sempre!

venerdì 26 gennaio 2007

Libreria e San Giovanni Rotondo, di: Valeria Lauriola

“Lo scrittore è l'arco, il libro è la freccia, il cliente è la mela, il libraio è quello che tiene in testa la mela”



“-I libri costano troppo – mi disse un signore, salendo sulla sua macchina da duecento milioni”



“ Forse gli editori non hanno fiducia nei lettori, i lettori non l'hanno negli editori, i librai non l'hanno né nei lettori né negli editori. Ma tutti hanno fiducia nei libri, e il miracolo si ripete.”


Stefano Benni





Umberto Eco, descrivendo la differenza tra le librerie di un tempo e quelle odierne, racconta che “quando io ero studente la libreria era un luogo umbratile, dove appena entravi venivi avvicinato da un signore distinto che ti chiedeva inquisitoriamente che cosa volevi. Ovvio che, se non eri entrato con un titolo preciso in mente uscivi subito, balbettando qualche parola di scusa. Occorreva essere intimi di un libraio per poter fare quello che ogni amante dei libri desidera fare, e cioè passare ore tra gli scaffali, annusando, leggendo bandelle, frugando sui ripiani alti – e insomma imparando di più perdendo tempo senza comperare che a comperare e a leggere un libro solo. Le librerie di oggi sono per fortuna un luogo dove la gente può scoprire libri che non conosceva, guardare, toccare, e dove soprattutto si trovano persone che attraverso il computer ti sanno dire quale sia il titolo che avevi dimenticato..” .

Il fatto di toccare i libri, la fisicità mi viene da dire, è a mio parere una caratteristica vincente per chi scelga di fare il libraio.

Credo che in definitiva sia stato proprio il piacere del tatto che ha reso possibile il miracolo: a dispetto di siti internet che svendono libri, offrendo sconti che per una libreria, soprattutto se piccola e non in franchising come la mia, sarebbe impossibile fare, queste ultime non si siano ancora estinte come i dinosauri!

Detto ciò, non voglio nascondermi: aprire una libreria in Italia è dura, aprirla sotto la cosiddetta “Linea Gotica” lo è ancora di più.

In Italia si legge poco, non esistono vere scuole che insegnino il mestiere, a differenza, per esempio, della Germania e soprattutto non esiste una vera legge sullo sconto, cosa che porta gli ipermercati o le grandi catene a praticare sconti che fagocitano il mercato e rendono la vita ardua alle librerie indipendenti (in Francia e Germania è fissato per legge il tetto massimo dello sconto).

Insomma, fare il libraio non è sicuramente uno dei mestieri più facili!

Tanto che, tre mesi fa, quando ho aperto la libreria, non avevo assolutamente idea di ciò che sarebbe successo, ero pronta ad ogni eventualità: a San Giovanni, si sa, le librerie non hanno mai avuto vita facile.

Tengo a precisare che non è tutta colpa degli abitanti: è facile dire “qui non si legge, si pensa solo a riempirsi la pancia” e si snocciolano a mò di esempio, nomi di altre realtà italiane dove la cultura è tenuta in grande considerazione. Sono infatti fermamente convinta che l'amore per la lettura debba essere instillata fin da piccoli, tramite tutta una serie di servizi/strutture che facilitano la fruizione dell'oggetto-libro. Insomma, se ci sono librerie in attivo, biblioteche ben fornite e vitali, eventi culturali periodici sponsorizzati dal Comune, percorsi di lettura nelle scuole, è chiaro che la vita del libro è più facile, perché quest'ultimo non viene più visto come “oggetto alieno”, ma al contrario, come qualcosa di famigliare e oserei dire necessario.

E' riduttivo quindi dire che al Sud non si legge, tanto più che negli ultimi tempi si sta, anche se faticosamente, avvertendo un'inversione di tendenza; basti pensare alla folla di persone accorsa alla Feltrinelli di Bari per accogliere Gianrico Carofiglio e il suo ultimo libro con un'ovazione solitamente riservata alle rock star; o agli eventi letterari pugliesi (i Dialoghi di Trani per esempio) che fanno sempre registrare il tutto esaurito.

O, ancora, allo sforzo che sta compiendo da qualche anno l'Associazione I Presidi del Libro, creata da vari editori pugliesi, tra cui la Laterza.

Tra l'altro, questo è uno dei rarissimi esempi in cui siamo noi ad esportare cultura alle altre regioni italiane: infatti, seguendo l'esempio pugliese, sono nati i Presidi anche in Piemonte, Emilia Romagna e Sardegna.

Tutto questo preambolo è per dire che lamentarsi dei propri concittadini, oltre che semplicistico è ingiusto. Ovviamente non posso nemmeno affermare che sia facile gestire (e soprattutto tenere in attivo!) una libreria in questa realtà. Quotidianamente mi scontro con tante piccole difficoltà, problemi di distribuzione, in primis, perché si sa, gli editori preferiscono trattare con le grosse realtà.

Il bilancio però, finora, è sicuramente positivo: la libreria è animata, molta gente entra e ama sfogliare e soffermarsi sulle ultime novità; di solito quelli che entrano la prima volta, poi ritornano e questo è il piacere più grande, perché significa che dall'esterno si avverte l'impegno che ci metto nell'offrire un luogo stimolante, che generi curiosità e che non sia pieno solo dei soliti best seller, tanto che ai cosiddetti “libri di catalogo” offro uno spazio considerevole, vista la metratura non elevata della libreria.

Un'altra grande soddisfazione è il numero di giovani frequentatori: qui l'età media è relativamente bassa e i loro acquisti non sono mai banali o scontati.

A livello di vendite, il periodo natalizio è andato molto bene, oltre l'insperato, direi.

Adesso però è arrivato il momento più difficile: se i primi mesi a fare da molla c'è stata la curiosità, e poi un grande evento come il Natale, ora si tratta di fidelizzare, per così dire, i clienti già acquisiti e cercarne di nuovi, oltre ad offrire più servizi, come eventi e incontri culturali, corollario essenziale per un posto che mette la cultura al primo posto, che però ovviamente richiedono tempi e sforzi aggiuntivi.

Se gennaio è stato dedicato all'inevitabile inventario, da febbraio ci saranno in calendario una serie di iniziative e anche di sorprese che non voglio svelare ora, ma che sono certa andranno ad arricchire ulteriormente l'offerta culturale della libreria.



Valeria Lauriola

lunedì 15 gennaio 2007

Vicini al disastro ambientale

Se la follia umana non troverà una pillola che la possa curare, e se questa pillola non sarà vietata dai folli che ci vogliono in incessante moltiplicazione, il ‘regno dell’uomo’ arriverà a malapena al 2100. Tra un secolo, di questo passo, il pianeta Terra sarà mezzo morto e gli esseri umani anche.

(Sartori)



In questi giorni – in coincidenza anche con la stagione invernale più calda che si sia mai registrata dal 1860 ad oggi – dopo i recenti studi e le istruttive indagini che la Commissione Europea ha messo in evidenza sul ecosistema italiano non solo alla stampa internazionale specializzata ma anche a noi comuni mortali, mi sembra opportuno trasferire, vista la gravità della situazione, questo fardello sulla nostra comunità.

Faccio, pertanto, delle considerazioni e, al contempo, lancio, molto modestamente, ai nostri governanti locali qualche proposta tesa a migliorare una situazione che, oramai, mi sembra quasi irrecuperabile.

Qualche testa benpensante si chiederà: perché il nostro ambiente sembra irrecuperabile? Perché questo Melchionda riversa sulla nostra città sempre tanto scetticismo?

In questi mesi, dopo lunghe riflessioni, qualche ricerca personale e tante osservazioni fatte sul nostro ambiente, sono giunto alla considerazione che la nostra città sia arrivata ad un bivio o, peggio, ad un punto di non ritorno.

E in questo articolo, senza dimenticare di denunciare ovviamente lo stato pietoso, osceno delle nostra strade e dei giardini pubblici lordati da cartacce, buste, ferrivecchi e quant’altro che sta comunque a testimoniare il grado di inciviltà dei cittadini sangiovannesi, voglio soffermarmi sull’inquinamento atmosferico.

Dico questo perché, come molti (almeno lo spero) avranno notato, la nostra aria è diventata irrespirabile, cancerosa ai nostri polmoni, devastante per migliaia di cittadini, mortifera per i nostri animali e scarsamente accogliente per i milioni di pellegrini che, oltre alla speranza di raccogliere e portare a casa un falso miracolo, vorrebbero poter sfruttare l’aria pulita che i nostri alberi (?) dovrebbero in teoria emanare.

La mattina, dall’alba fino alle nove, quando il cielo è terso, limpido e brillante come un diamante, la nostra città è avvolta da una cappa distruttiva; una cappa biancastra contenente polveri altamente inquinanti; una nuvola stratificata, perfida, ingannevole (molto, infatti, pensano sia foschia) che lentamente e impunemente (come tutti i disastri italici) si insinua nei nostri poveri polmoni provocando danni che pagheremo nel corso degli anni quando tutte le cure del caso saranno perfettamente inutili e costose.

Da cosa deriva questo inquinamento tipicamente da metropoli? Come mai nel Dna sangiovannese abbiamo inglobato tutti i peggiori vizi della città, rifiutando le tante virtù e possibilità di redimersi che la grande città comunque offre?

Le cause, penso, siano essenzialmente quattro: l’eccessivo traffico, piaga che nessun assessore ai Trasporti è riuscito mai a sanare; l’uso smodato e a volte inutile dei nostri riscaldamenti nei mesi invernali; la vicinanza parossistica del depuratore (che durante ogni campagna elettorale, e solo in quel frangente, sembra lì lì per essere trasferito in altri lidi) alla comunità; da ultimo, ma non per questo di minore gravità, la presenza dell’inceneritore di Casa Sollievo della Sofferenza che con le sue larghe bocche emana delle zaffate a dir poco funeste per la nostra salute.

A mio modesto parere, le radici del disastro ecologico nella nostra vadano ricercate, appunto, nei quattro punti poc’anzi elencati.

A distanza di quasi due anni cosa ha fatto questa comica e sgangherata amministrazione su un tema di così fondamentale importanza? Dire niente è poco! Dire che la comprensione del problema non è stata recepita significa peccare di buonismo! Dire che gli attuali amministratori non abbiano un’idea – dico una! – su come affrontare e, possibilmente, risolvere un’annosa e scottante patata bollente vuol dire semplicemente la verità. Nuda e cruda.

Il tempo, sindaco Mangiacotti, è scaduto! È ora che le sue mastodontiche promesse – è pura utopia? – si trasformino in fatti concreti. Senza sconti e senza concessioni!

Tutti a parlare di grandi opere, ma nessuno che calendarizza in sede di consiglio comunale il tema che dovrebbe stare più a cuore gli amministratori: la tutela dell’ambiente e, di conseguenza, la difesa della salute dei cittadini.

È grave che i Verdi e quelli di Lega Ambiente non dicano una parola in materia! Che fine ha fatto il ‘chitarrista’ Pazienza buono solo a protestare con la vecchia amministrazione per gli alberi vergognosamente estirpati dalla memoria collettiva? Cosa ci dice in proposito il presidente di Lega Ambiente (il problema cronico di questa associazione è sempre lo stesso, perlomeno nel nostro paese: tanta demagogia, tante chiacchiere, tanta ideologia politica, ma pochi fatti concreti e, soprattutto, poche proposte) bravo solo a fotografare gli scempi che tutta la classe politica, e senza distinzione di colore, ci ha propinati in questi sporchi e indecorosi dieci anni? È giusto e sacrosanto denunciare i tanti Perottini che si sono insinuati tra le nostre abitazioni, ma non dimentichiamoci degli altri fardelli ambientali…

È mai possibile che a nessuno sia venuto mai in mente di collocare nelle parti più sensibili della città degli strumenti che sappiano rilevare il tasso di inquinamento presente in maniera sottile, invisibile ma ingombrante nella nostra città?

È mai possibile che a nessuno sia venuto mai in mente di lavorare in sinergia con i reparti competenti del nostro nosocomio (sarebbe ora che si cominciasse a fare della prevenzione medico-sanitaria) che quotidianamente ricevono pazienti magari affetti da problemi respiratori dovuti all’inquinamento?

È mai possibile, dico, che a nessuno sia mai venuto in mente di costruire metri, per non dire chilometri, di piste ciclabili come avviene nelle ricche e civili città del nord Europa?

È mai possibile che a nessuno sia mai venuto in mente di estendere, anche in periferia, senza dimenticarsi del povero centro cittadino, le zone pedonali di modo che la gente cominci a sviluppare quel tanto di cultura ambientale che nella nostra città è sempre mancata?

È mai possibile, mi chiedo, che a nessuno sia mai venuto in mente di verificare se l’inceneritore di Casa Sollievo delle Sofferenza abbia tutti i requisiti per funzionare correttamente, rispettando tutti i canoni che la legge comunitaria impone?

Quando la smetteremo di costruire ville, alberghi, recinti abusivi che, magari, arricchiscono le nostra tasche, ma impoveriscono e degradano il nostro già dissestato ambiente?

Quando cominceremo a pensare più al bene collettivo che non a quello egoistico?

Non sarebbero, queste, cari lettori, seppur poste in forma di domande, delle buone proposte per risolvere, perlomeno parzialmente, questo annoso problema?

Attuare e metterle in pratica non è affatto difficile, anzi; la questione è un’altra: è che ci manca la classe politica all’altezza…

lunedì 8 gennaio 2007

Alla ricerca dell’anima e delle conoscenze perdute…

Preserverò pura e santa la mia vita e la mia arte… In quante case entrerò, andrò per aiutare i malati, astenendomi dal recare volontariamente ingiustizia e danni.


(Giuramento di Ippocrate)



Il medico e romanziere sono gli uomini che prima di tutto debbono interessarsi alle creature.


(Andrè Maurois)




Quando, nel lontano 1956, nacque Casa Sollievo della Sofferenza, dopo un iniziale e giustificato scetticismo di tanti, per non dire di tutti, l’entusiasmo, l’impegno e la professionalità cominciarono a prendere piede; nell’arco di qualche anno, con l’aiuto e le offerte di tanti benefattori, si raggiunse l’apogeo della celebrità. Tutti – medici, infermieri, tecnici, ausiliari e gli stessi pazienti – cercarono di stabilire e creare un ‘aurea che avrebbe dovuto propagarsi e diffondersi in ogni dove. Il risultato, pur con le dovute e inevitabili difficoltà contingenti, venne raggiunto. Da tutti definito un centro di eccellenza, da tutti coccolato; strutture e apparecchiature all’avanguardia; un patrimonio economico, umano, scientifico, morale cui tutti potevano trarre beneficio e conforto; nuovi reparti, viste anche le richieste, inaugurati; un vanto da difendere e preservare; una fortuna in mano che non dovevamo, però, affatto dilapidare.

A distanza di anni, cos’è cambiato nella più grande azienda non solo di San Giovanni Rotondo ma della Capitanata intera con i suoi oltre tremila dipendenti? Quali trasformazioni si sono avute negli ultimi decenni? In che stato versa uno dei nosocomi più in vista e menzionati del Meridione?

Avendo avuto la possibilità di parlare con una fetta importante del personale, pare che – situazione economica a parte, comunque in lento ma inesorabile miglioramento stando almeno alle stime ufficiali – poco sia cambiato nelle stanze delle speranza, del sollievo ma anche, oserei dire, della negligenza, dell’incompetenza e, cosa ancor più grave, dell’indifferenza.

Ha ragione da vendere il fisico Marcello Cini quando dice che “che uno dei compiti principali della medicina è quello di aiutare gli uomini a non aver paura della morte e neanche della vita. Si deve umanizzare la medicina e il rapporto tra il medico e il paziente deve diventare non solo un’alleanza terapeutica, profonda, scientifica. Compito del medico non è solo prescrivere farmaci, ma aiutare gli uomini a vivere, a morire, a combattere questo “dispregio” della vita. La medicina moderna ha dei compiti molto più grossi di quelli che aveva in passato, perché ha più mezzi, più tecnologia, più possibilità”

Entrando nel merito dei problemi presenti a Casa Sollievo della Sofferenza, mi preme cominciare questa analisi proprio dall’indifferenza, da un problema strisciante, astratto, che è impossibile toccar con mano, eppure tanto presente quanto dannoso. Quali sono, allora, le cause di questo aberrante sentimento che, indisturbato, si è infiltrato in questa mastodontica struttura? Da cosa è dovuta involuzione?

A primo impatto, a guardare le cose in maniera un po’ distratta e superficiale, si può tranquillamente dire che ciò sia dovuto, magari, anche alla ripetitività del lavoro, al fatto che dopo un po’ ci si sente nauseati e stanchi del solito tam-tam. Alzarsi la mattina, timbrare il cartellino, come se fossimo tanti automi pronti ad entrare nella schizofrenica catena di montaggio, ritmi vorticosi da sostenere inducono il dipendente (medico, infermiere, ausiliare, tecnico poco importa) ad una forma di schiavismo con le imposizioni che un regolare contratto di lavoro comunque impone.

Volendo scavare un po’ a fondo, ci accorge ben presto che, alla base del degradarsi dei rapporti umani, ci sia l’indifferenza, un ‘indifferenza che regna sovrana, un’indifferenza figlia soprattutto dello scarso amore con cui si curano i pazienti e gli ammalati cronici; dipendenti pervasi da un cinismo e opportunismo impressionanti; dipendenti distratti da troppe incombenze burocratiche.

Mi dico, a questo punto: se non si ama sé stessi, figuriamoci se si ama il prossimo più vicino!

Pazienti trattati, dunque, non come persone degne di essere confortate, bensì come numeri da memorizzare nei freddissimi e asettici computer. Pazienti trattati non come individui bisognosi di affetto, di un affetto disinteressato e spontaneo, ma come tanti estranei cui applicare la terapia necessaria prescritta per poi mandarli via il più presto possibile perché gli affari sono affari: le casse devono essere continuamente rimpinguate e aggiornate.

Ma cosa hanno nel cuore – mi hanno chiesto molti pazienti – questi dipendenti (non tutti, ovviamente: molti meritano, anzi, il più grande plauso e sostegno possibile per l’opera medico-umanitario-affettiva che svolgono ogni giorno!) che si credono onnipotenti? La pietra, è stata la mia risposta! Una pietra dura da scalfire. Medici e infermieri simbolo e specchio, quindi, della triste e affannosa quotidianità nella quale siamo avvolti e condizionati. Molti dei tanti disperati provenienti da ogni parte del Sud Italia affermano di essere stati in un Lager comodo, vellutato, ordinato, pulito ma povero del più grande bene che ogni essere umano che si rispetti richiede: quello di essere amato e rispettato per quello che è, e non per quello che ha!

Con l’arrivo di Monsignor D’Ambrosio – accolto con gioia dalla stragrande maggioranza della cittadinanza, ma, al contempo, con fischi e urla vergognosi dai frati cappuccini – che per vent’anni aveva lavorato con grande profitto nella nostra comunità, molti sostenevano che molte cose sarebbero cambiate. Che la rivoluzione morale – primo, decisivo passo verso la risoluzione dei problemi di natura economica e medica – che molti si attendevano, avrebbe dato nuovo ossigeno, nuova linfa, nuovi stimoli agli illusi speranzosi che, di fronte allo sfacelo che avevano sotto gli occhi, non avevano più la forza nemmeno di protestare.

Ad oggi, infatti, poco o nulla è effettivamente mutato. Il magistero spirituale, che avrebbe dovuto purificare le tante anime di Casa Sollievo della Sofferenza, è, almeno parzialmente, fallito. Un magistero cui avevo, da ateo, creduto convintamente.

Si doveva usare un altro metodo, magari più duro e intransigente di fronte a certe situazioni delicate? Troppo buonismo o cos’altro? Difficile dirlo, sta di fatto, però, che molti cominciano addirittura a rimpiangere gli anni nefasti, bui, nepotistici dell’oligarchia messa in piedi dai Pennelli e da monsignor Ruotolo, uomo potente e spietato, molto prodigo e generoso solo nei confronti dei suoi compaesani.

Un fallimento dovuto anche in larga parte alla cattiva condotta e alle cattive abitudini dei tanti che ci lavorano che per anni hanno fatto (e continuano a fare) quello che volevano, agendo in maniera egoistica, fregandosene di tutto quello che gli succedeva intorno. Basta, d’altronde, farsi un giro per i reparti, parlare con un po’ di gente e facilmente si arriva alla conclusione.

Se l’aspetto umano finora descritto non è dei più positivi, anzi, anche quelli più prettamente pratici – quelli che si riferiscono alla razionalità dell’uomo e alla preparazione e competenza del personale – di certo non possono definirsi immuni da grandi errori e da marchiane sviste, più o meno volute.

La regressione tecnico-scientifica, rispetto a quello che avveniva anni fa, è spaventosa: medici in fuga verso nosocomi magari meno opulenti e remunerativi ma di certo più organizzati; ricerca – fatta salva qualche lodevole eccezione – abbandonata allo stato brado; selezione del personale – ed è uno scandalo che ciò che avvenga ancora! – attuata quasi mai per meriti professionali, umani o per pubblicazioni scientifiche che certifichino realmente il valore di un professionista, bensì per conoscenza diretta; scuola per aspiranti infermieri (il famoso corso voluto da Padre Pio che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello di Casa Sollievo) dove gli esami e il tirocinio raggiungono, al contempo, il ridicolo e la vergogna: basta assistere, d’altronde, ad una qualche sessione d’esame e si comprende il livello di preparazione degli alunni, felici e fieri di essere in una sorta di suk dove i professori, molti dei quali interni a Casa Sollievo della Sofferenza, recitano il ruolo di semplici comparse; professori che, malpagati o non pagati affatto, rigettano sugli studenti le loro frustrazioni e arrabbiature: e in un ambiente dove le conoscenze intellettuali e pratiche devono essere il fondamento principale per poter intraprendere questo tipo di professione, è assurdo che nel 2006 ci sia ancora tanta disorganizzazione, tanta voglia di compromesso e, cosa ancor più grave, tanto menefreghismo; sindacati dalle mille sigle e dai mille capi sempre sul piede di guerra a rivendicare diritti e favori e mai pronti a chiedere che i loro lavoratori facciano il loro dovere, onestamente e professionalmente.

È una critica distruttiva? Non penso. I problemi, ormai strutturali, di Casa Sollievo della Sofferenza, sono atavici: tanti sono i responsabili, alcuni dei quali già puniti e spediti altrove. Ma gli altri? E gli attuali, cosa stanno facendo? In che modo si stanno adoperando per uscire da questo burrone nel quale in tanti sono sprofondati? Quando verranno riattivati i canali della ricerca, opera fondamentale se si vuol restare agganciati al treno della concorrenza? Quando verranno assegnati i posti vacanti di primariato per conoscenza, competenza, professionalità e non di certo per anzianità o per legami amicali? Quando verranno indetti i primi concorsi – fatti seriamente, senza nessun baratto, con delle regole serissime e con un controllo super partes e fuori dagli schemi soliti – che dovrebbero fornire al povero personale di casa Sollievo uomini di grande prestigio, magari anche degli stranieri, sostenuti da giovani di talento, con degli stimoli e delle idee fuori dal comune? Giovani che non siano figli di… Giovani che non abbiano legami con il signor x… È tanto difficile mettere in atto questi meccanismi virtuosi?

Il sapere, soprattutto, se si deve riversare su vite umane, magari a rischio di vita, non si deve barattare con niente e con nessuno!

Con la speranza che qualcuno ci legga, spero che queste domande non restino inevase; sarebbe ora che i dirigenti con le maggior responsabilità ci dicano, senza nessuna partigianeria o piagnisteo, quali errori sono stati commessi nell’ultimo triennio, quanto tempo ci vorrà ancora per risanare, e non solo economicamente, la struttura che un tempo era considerato il vanto della nostra città. sottrarsi al confronto, anche quello più duro e aspro, non farà che peggiorare le già disastrate condizioni di Casa Sollievo della Sofferenza.