sabato 7 aprile 2007

Il razzismo dei sangiovannesi

“Volevamo braccia, sono arrivati uomini”.

(Max Frisch)



Dopo la caduta del Muro di Berlino e il conseguente crollo del comunismo molti Paesi dell'Europa dell'Est, senza dimenticare ovviamente quelli dell’Africa centro-settentrionale, molto prima dell'ingresso nell'Europa che conta, hanno conosciuto un fenomeno immigratorio forse senza pari nel Novecento; nel corso di questi anni, in effetti, il Paese che ha sentito maggiormente l'ondata immigratoria è stata l'Italia; un'ondata che si è sparsa a macchia d'olio dapprima in maniera omogenea (la Puglia e il Nord-Est furono le prime zone geografiche più interessate dal fenomeno) e, poi, in modo eterogeneo. Albanesi, rom, rumeni, polacchi, marocchini, nigeriani, indiani, filippini, pachistani e cinesi sono quelli che, sopra gli altri, hanno dovuto espatriare dalla loro terra natìa.

Passando dal generale al particolare, però, vorrei soffermarmi, in qualità di semplice cittadino sangiovannese, su quanto è accaduto nella nostra città, sulle trasformazioni sociali e sul livello di convivenza tra la popolazione locale e i nuovi arrivati.

Durante questi anni, vuoi occasionalmente, vuoi dopo incontri, ho avuto modo, e fortuna, di poter individuare, tra la stragrande maggioranza dei miei concittadini, che il sentimento di cui si nutrono quotidianamente nei confronti dei cittadini extracomunitari e dell’Europa dell’Est è dato, senza ombra di dubbio, da un vergognoso e abietto razzismo.

Un razzismo a volte strisciante, in alcuni casi palpabile, in certi frangenti latente, in date occasioni lapalissiano.

Da che cosa discende questo comportamento che tanti danni e morti ha provocato nella storia del XX secolo assassino, secondo la felice espressione di uno dei politologi più rinomati, vale a dire Ralf Dahrendorf?

Secondo il mio punto di vista, questo atteggiamento dipende da un elemento molte volte trascurato, ma spesso decisivo: l’ignoranza della gente, un’ignoranza dovuta ad un invasivo provincialismo e ad una scarsa (per non dire nulla) conoscenza della storia, perlomeno quella recente.

Molti abietti sangiovannesi, arroganti, con le tasche piene di soldi, avidi, abili sfruttatori, fanno finta di dimenticare che non molti decenni fa gli albanesi eravamo noi italiani, e meridionali in particolare.

Il giornalista del Corsera, Stella, anni fa, in un saggio storico-sociologico intitolato “l’Orda, quando gli albanesi eravamo noi”, ha scritto: “La feccia del pianeta, questo eravamo. Meglio: così eravamo visti. Non potevamo mandare i figli alle scuole dei bianchi in Louisiana. Ci era vietato l’accesso alle sale d’aspetto di terza classe di Basilea. Venivamo martellati da campagne di stampa indecenti contro questa ‘maledetta razza di assassini’. Cercavamo casa schiacciati dalla fame d’essere sporchi come maiali. Dovevamo tenere nascosti i bambini come Anna Frank perché non ci era permesso portarceli dietro. Eravamo emarginati dai preti dei paesi d’adozione come cattolici primitivi e un po’ pagani. Ci appendevano alle forche nei pubblici linciaggi perché facevamo i crumiri o semplicemente eravamo ‘tutti siciliani’”.

La storia, dunque, non va mai dimenticata.

Come ha scritto giustamente Frisch, i cafoni sangiovannesi aspettavano braccia – braccia che avrebbero dovuto arricchire le tasche dei nostri comici impresari – e si son ritrovati uomini, uomini con una storia personale di tutto rispetto, con una dignità da preservare, con un orgoglio da difendere, e con una cultura da mostrare a questi bigotti e nani sangiovannesi.

Quando, spesso, si parla della ricchezza che questa città ha saputo accumulare, legalmente e illegalmente, il più delle volte ci si dimentica che un aiuto determinate proviene proprio da questi nostri fratelli, sempre più relegati ai margini della società locale.

Basta, d’altronde, farsi un giro negli alberghi o nelle altre attività commerciali della nostra città per comprendere, e bene, in quale stato sono accolti le centinaia di immigrati, legali e clandestini, che da anni, oramai, fanno parte a tutti gli effetti del nostro vivere comune.

Disprezzo, sberleffi, indifferenza e ostracismo sono, in base a quello che ho visto, il modus operandi che ho potuto riscontrare; un cancro che tanti danni potrebbe recare al vivere civile della nostra comunità; il livello di sopportazione ha raggiunto picchi che, quando meno ce lo aspettiamo, potrebbero scatenare rivolte sociali poi difficilmente sanabili.

Mi son chiesto: sarà paura del nuovo arrivato? Difficile. Desiderio di difendere la cultura locale? Impossibile anche perché non abbiamo né una cultura né degli intellettuali che la sappiano propagare.

Nei discorsi della gente, quindi, si sente parlare di questi immigrati come di criminali, di bande assassine dedite perlopiù allo spaccio, al latrocinio e alla violenza. È un modo, questo, per nascondere e fingere che gli unici responsabili, morali, politici e sociali, dello sfascio di questa città sono proprio gli abitanti locali. Si scarica su questa povera gente colpe solamente nostre. È un modo, questo, di ritardare un profondo esame di coscienza di cui tutta la collettività ha davvero bisogno; un bisogno impellente, doveroso, obbligatorio che si seguita a rinviare sine die.

Ogni tanto vorrei sentire dall’associazione degli albergatori, presieduta se non vado errato da Franco Fini, qualche mea culpa sullo sfruttamento indecoroso e penalmente perseguibile che ai giorni nostri è davvero inaccettabile; qualche mea culpa sulle omissioni che nel corso di questi anni sono state interpretate ai danni di questi cittadini del mondo, senza tanti affetti e senza una dimora sicura.

E invece? Invece, tutti tacciono: forze politiche, forze dell’ordine, parrocchie, associazioni e stampa (ma esiste davvero una stampa degna di questo nome nella nostra città che sappia denunciare le malefatte che vengono perpetrate ai danni della gente perbene?). Tutti tacciono perché il dio denaro, il progresso, l’arricchimento sfrenato e illegale contano molto di più dell’essere umano, soprattutto se questi ha un colore, religione, razza diversi da quella italiana.

D’altronde, di fronte al nanismo di questo sindaco, alla decrepitezza dei nostri parroci, e all’illegalismo dei nostri pseudo-imprenditori, all’indifferenza di buona parte della cittadinanza ogni discussione su un tema così scottante e delicato è solo esercizio retorico…