E’ l’informazione sulla verità vera dei fatti che dà coraggio. Solo la verità può rendere liberi quanti oggi non vogliono essere schiavi.
(Paolo Sylos Labini)
Qualche settimana fa, in occasione dello scritto sul fenomeno immigratorio presente nella nostra città, sostenni, seppur en passant e senza dubbi o paure di ritorsioni, che lo sfruttamento (strettamente collegato al problema-razzismo) negli ambienti di lavoro, e in modo particolare nelle decine e decine di alberghi e ristoranti, aveva raggiunto picchi elevatissimi; un fenomeno dilagante, esteso, quasi inestirpabile tanto è la complicità per non dire collusione, a partire dalla popolazione per finire ai vertici delle istituzioni.
In questa occasione, vorrei soffermarmi, quindi, sul lavoro sommerso, su quanto avviene non solo nell'ambito della ristorazione; i tentacoli malevoli e cancerosi del lavoro nero sono estesi anche nei seguenti settori: edilizia, attività commerciali (piccole o medie poco importa), imprese di pulizie; non si può, ovviamente, dimenticare, quello che avviene nelle micro-micro imprese come quelle degli elettricisti, degli imbianchini o dei tubisti: è in questa selva oscura che si annida il precariato e il sommerso.
E se lo sfruttamento, quello più abietto e meschino, colpisce nella stragrande maggioranza dei casi gli immigrati dell’Est europeo e gli extracomunitari, la vergogna del lavoro nero – che tanti guadagni procura ai nostri pseudo-imprenditori – è un fenomeno che oramai interessa anche i cittadini sangiovannesi.
Una illegalità diffusa, percepita dagli abitanti come un qualcosa di assolutamente normale, giusto, regolare.
Quanti, in effetti, si ammutinano di fronte a tale scempio? Quanti, ad essere onesti, decidono di denunciare il tutto alle autorità competenti? Il tanto famigerato, e mai in disuso, embrassons-nous è sempre in voga nella nostra città.
Cosa manca, quindi, perché ci si possa ritenere civili e moderni?
Innanzitutto la cultura della legalità in senso lato, il rispetto per l’uomo e per la sua dignità da troppi calpestata e da nessuno, o quasi, difesa.
Parlando con amici o semplici conoscenti, il quadro dell’attuale situazione è il seguente: si comincia con un periodo di prova (il cosiddetto contratto da apprendista), superata la quale si promettono garanzie, tutele e un lavoro finalmente normale.
Peccato, poi, che le promesse non corrispondano alla realtà vera dei fatti: il lavoro si trasforma in una eterna odissea nella quale le vessazioni, paghe da fame, soprusi e illegalità più o meno diffuse sono il fondamento di una società profondamente incivile e allergica al rispetto di semplici regole.
Molti ragazzi, condizionati anche dall’ignoranza e dall’ottusità mentale dei genitori, sono costretti a subire, e in silenzio lo status quo; altri, invece, stanchi e ribelli della situazione, preferiscono armarsi di pazienza e bagagli e partono per luoghi finora inesplorati ma, forse, più degni di essere vissuti.
Stupisce, in questo quadro così fosco, il silenzio dei sindacati locali, troppo intenti a fare politica e poco propensi ad occuparsi di una questione di fondamentale importanza; stupisce, a dire il vero, la quasi totale mancanza dei controlli degli organi preposti a combattere un fenomeno ormai dilagante come quello del sommerso; stupisce, inoltre, come in occasione dei tanti infortuni sul lavoro vi sia una totale collusione tra le strutture sanitarie e l’azienda del malcapitato.
Quanti dipendenti sangiovannesi irregolari, a dir la verità, sporgono denuncia nei confronti del proprio datore di lavoro? Quanti, nelle nostre strutture sanitarie, cercano di scavare e di andare oltre la verità ufficiale e di interpellare gli organi di giustizia, penale o civile poco importa?
Cosa fanno, inoltre, gli organi di stampa e le istituzioni locali di questa città?
Un silenzio assordante: chi per paura di ritorsioni, chi per interessi più o meno oscuri.
Mesi fa, in una trasmissione televisiva il ministro del Lavoro, Damiano, si vantava – ed era un triste vanto, secondo il mio punto di vista – che l’azione da lui perseguita in tal senso avesse portato a risultati rilevanti; più modestamente penso, invece, che il lavoro fatto – pur essendo nella direzione giusta – sia ancora poco, soprattutto se volgiamo lo sguardo nel triste Meridione.
Occorre inasprire, e di molto, le leggi vigenti: comminare pene pecuniarie altissime per chi, volutamente, omette di regolarizzare il personale assunto; aprire (e chiuderle per tanti anni) le porte di una cella per coloro che invece si macchiano di reati come lo sfruttamento e il caporalato che, nelle nostre zone, come testimoniano le indagini della magistratura, sono ancora presenti.
Basta guardarsi in giro e si comprende come la tracotanza, il senso di onnipotenza e il gusto, sadico, del ricatto verso coloro che hanno un disperato bisogno di lavorare che questi vergognosi commercianti e ridicoli imprenditori sangiovannesi mettono quotidianamente in mostra non ha davvero limiti e freni.
Qualcuno, sfiorando il ridicolo, ha così giustificato il proprio comportamento: “Non posso assumerli e, di conseguenza, regolarizzarli perché non posso permettermi di pagargli i dovuti contributi”. Niente di più falso, se poi si va a guardare il tenore di vita di questi criminali del lavoro: ville, auto e vestiti di lusso vanno a rappresentare i lauti guadagni accumulati sfruttando i tanti disperati che accettano di lavorare in penose condizioni e frodando lo Stato (scaricando ad esempio su di esso gli oneri che, invece, dovrebbero assumersi nel momento in cui decidono di fondare una intrapresa), troppo distratto da altre incombenze, magari anche meno urgenti.