lunedì 8 gennaio 2007

Alla ricerca dell’anima e delle conoscenze perdute…

Preserverò pura e santa la mia vita e la mia arte… In quante case entrerò, andrò per aiutare i malati, astenendomi dal recare volontariamente ingiustizia e danni.


(Giuramento di Ippocrate)



Il medico e romanziere sono gli uomini che prima di tutto debbono interessarsi alle creature.


(Andrè Maurois)




Quando, nel lontano 1956, nacque Casa Sollievo della Sofferenza, dopo un iniziale e giustificato scetticismo di tanti, per non dire di tutti, l’entusiasmo, l’impegno e la professionalità cominciarono a prendere piede; nell’arco di qualche anno, con l’aiuto e le offerte di tanti benefattori, si raggiunse l’apogeo della celebrità. Tutti – medici, infermieri, tecnici, ausiliari e gli stessi pazienti – cercarono di stabilire e creare un ‘aurea che avrebbe dovuto propagarsi e diffondersi in ogni dove. Il risultato, pur con le dovute e inevitabili difficoltà contingenti, venne raggiunto. Da tutti definito un centro di eccellenza, da tutti coccolato; strutture e apparecchiature all’avanguardia; un patrimonio economico, umano, scientifico, morale cui tutti potevano trarre beneficio e conforto; nuovi reparti, viste anche le richieste, inaugurati; un vanto da difendere e preservare; una fortuna in mano che non dovevamo, però, affatto dilapidare.

A distanza di anni, cos’è cambiato nella più grande azienda non solo di San Giovanni Rotondo ma della Capitanata intera con i suoi oltre tremila dipendenti? Quali trasformazioni si sono avute negli ultimi decenni? In che stato versa uno dei nosocomi più in vista e menzionati del Meridione?

Avendo avuto la possibilità di parlare con una fetta importante del personale, pare che – situazione economica a parte, comunque in lento ma inesorabile miglioramento stando almeno alle stime ufficiali – poco sia cambiato nelle stanze delle speranza, del sollievo ma anche, oserei dire, della negligenza, dell’incompetenza e, cosa ancor più grave, dell’indifferenza.

Ha ragione da vendere il fisico Marcello Cini quando dice che “che uno dei compiti principali della medicina è quello di aiutare gli uomini a non aver paura della morte e neanche della vita. Si deve umanizzare la medicina e il rapporto tra il medico e il paziente deve diventare non solo un’alleanza terapeutica, profonda, scientifica. Compito del medico non è solo prescrivere farmaci, ma aiutare gli uomini a vivere, a morire, a combattere questo “dispregio” della vita. La medicina moderna ha dei compiti molto più grossi di quelli che aveva in passato, perché ha più mezzi, più tecnologia, più possibilità”

Entrando nel merito dei problemi presenti a Casa Sollievo della Sofferenza, mi preme cominciare questa analisi proprio dall’indifferenza, da un problema strisciante, astratto, che è impossibile toccar con mano, eppure tanto presente quanto dannoso. Quali sono, allora, le cause di questo aberrante sentimento che, indisturbato, si è infiltrato in questa mastodontica struttura? Da cosa è dovuta involuzione?

A primo impatto, a guardare le cose in maniera un po’ distratta e superficiale, si può tranquillamente dire che ciò sia dovuto, magari, anche alla ripetitività del lavoro, al fatto che dopo un po’ ci si sente nauseati e stanchi del solito tam-tam. Alzarsi la mattina, timbrare il cartellino, come se fossimo tanti automi pronti ad entrare nella schizofrenica catena di montaggio, ritmi vorticosi da sostenere inducono il dipendente (medico, infermiere, ausiliare, tecnico poco importa) ad una forma di schiavismo con le imposizioni che un regolare contratto di lavoro comunque impone.

Volendo scavare un po’ a fondo, ci accorge ben presto che, alla base del degradarsi dei rapporti umani, ci sia l’indifferenza, un ‘indifferenza che regna sovrana, un’indifferenza figlia soprattutto dello scarso amore con cui si curano i pazienti e gli ammalati cronici; dipendenti pervasi da un cinismo e opportunismo impressionanti; dipendenti distratti da troppe incombenze burocratiche.

Mi dico, a questo punto: se non si ama sé stessi, figuriamoci se si ama il prossimo più vicino!

Pazienti trattati, dunque, non come persone degne di essere confortate, bensì come numeri da memorizzare nei freddissimi e asettici computer. Pazienti trattati non come individui bisognosi di affetto, di un affetto disinteressato e spontaneo, ma come tanti estranei cui applicare la terapia necessaria prescritta per poi mandarli via il più presto possibile perché gli affari sono affari: le casse devono essere continuamente rimpinguate e aggiornate.

Ma cosa hanno nel cuore – mi hanno chiesto molti pazienti – questi dipendenti (non tutti, ovviamente: molti meritano, anzi, il più grande plauso e sostegno possibile per l’opera medico-umanitario-affettiva che svolgono ogni giorno!) che si credono onnipotenti? La pietra, è stata la mia risposta! Una pietra dura da scalfire. Medici e infermieri simbolo e specchio, quindi, della triste e affannosa quotidianità nella quale siamo avvolti e condizionati. Molti dei tanti disperati provenienti da ogni parte del Sud Italia affermano di essere stati in un Lager comodo, vellutato, ordinato, pulito ma povero del più grande bene che ogni essere umano che si rispetti richiede: quello di essere amato e rispettato per quello che è, e non per quello che ha!

Con l’arrivo di Monsignor D’Ambrosio – accolto con gioia dalla stragrande maggioranza della cittadinanza, ma, al contempo, con fischi e urla vergognosi dai frati cappuccini – che per vent’anni aveva lavorato con grande profitto nella nostra comunità, molti sostenevano che molte cose sarebbero cambiate. Che la rivoluzione morale – primo, decisivo passo verso la risoluzione dei problemi di natura economica e medica – che molti si attendevano, avrebbe dato nuovo ossigeno, nuova linfa, nuovi stimoli agli illusi speranzosi che, di fronte allo sfacelo che avevano sotto gli occhi, non avevano più la forza nemmeno di protestare.

Ad oggi, infatti, poco o nulla è effettivamente mutato. Il magistero spirituale, che avrebbe dovuto purificare le tante anime di Casa Sollievo della Sofferenza, è, almeno parzialmente, fallito. Un magistero cui avevo, da ateo, creduto convintamente.

Si doveva usare un altro metodo, magari più duro e intransigente di fronte a certe situazioni delicate? Troppo buonismo o cos’altro? Difficile dirlo, sta di fatto, però, che molti cominciano addirittura a rimpiangere gli anni nefasti, bui, nepotistici dell’oligarchia messa in piedi dai Pennelli e da monsignor Ruotolo, uomo potente e spietato, molto prodigo e generoso solo nei confronti dei suoi compaesani.

Un fallimento dovuto anche in larga parte alla cattiva condotta e alle cattive abitudini dei tanti che ci lavorano che per anni hanno fatto (e continuano a fare) quello che volevano, agendo in maniera egoistica, fregandosene di tutto quello che gli succedeva intorno. Basta, d’altronde, farsi un giro per i reparti, parlare con un po’ di gente e facilmente si arriva alla conclusione.

Se l’aspetto umano finora descritto non è dei più positivi, anzi, anche quelli più prettamente pratici – quelli che si riferiscono alla razionalità dell’uomo e alla preparazione e competenza del personale – di certo non possono definirsi immuni da grandi errori e da marchiane sviste, più o meno volute.

La regressione tecnico-scientifica, rispetto a quello che avveniva anni fa, è spaventosa: medici in fuga verso nosocomi magari meno opulenti e remunerativi ma di certo più organizzati; ricerca – fatta salva qualche lodevole eccezione – abbandonata allo stato brado; selezione del personale – ed è uno scandalo che ciò che avvenga ancora! – attuata quasi mai per meriti professionali, umani o per pubblicazioni scientifiche che certifichino realmente il valore di un professionista, bensì per conoscenza diretta; scuola per aspiranti infermieri (il famoso corso voluto da Padre Pio che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello di Casa Sollievo) dove gli esami e il tirocinio raggiungono, al contempo, il ridicolo e la vergogna: basta assistere, d’altronde, ad una qualche sessione d’esame e si comprende il livello di preparazione degli alunni, felici e fieri di essere in una sorta di suk dove i professori, molti dei quali interni a Casa Sollievo della Sofferenza, recitano il ruolo di semplici comparse; professori che, malpagati o non pagati affatto, rigettano sugli studenti le loro frustrazioni e arrabbiature: e in un ambiente dove le conoscenze intellettuali e pratiche devono essere il fondamento principale per poter intraprendere questo tipo di professione, è assurdo che nel 2006 ci sia ancora tanta disorganizzazione, tanta voglia di compromesso e, cosa ancor più grave, tanto menefreghismo; sindacati dalle mille sigle e dai mille capi sempre sul piede di guerra a rivendicare diritti e favori e mai pronti a chiedere che i loro lavoratori facciano il loro dovere, onestamente e professionalmente.

È una critica distruttiva? Non penso. I problemi, ormai strutturali, di Casa Sollievo della Sofferenza, sono atavici: tanti sono i responsabili, alcuni dei quali già puniti e spediti altrove. Ma gli altri? E gli attuali, cosa stanno facendo? In che modo si stanno adoperando per uscire da questo burrone nel quale in tanti sono sprofondati? Quando verranno riattivati i canali della ricerca, opera fondamentale se si vuol restare agganciati al treno della concorrenza? Quando verranno assegnati i posti vacanti di primariato per conoscenza, competenza, professionalità e non di certo per anzianità o per legami amicali? Quando verranno indetti i primi concorsi – fatti seriamente, senza nessun baratto, con delle regole serissime e con un controllo super partes e fuori dagli schemi soliti – che dovrebbero fornire al povero personale di casa Sollievo uomini di grande prestigio, magari anche degli stranieri, sostenuti da giovani di talento, con degli stimoli e delle idee fuori dal comune? Giovani che non siano figli di… Giovani che non abbiano legami con il signor x… È tanto difficile mettere in atto questi meccanismi virtuosi?

Il sapere, soprattutto, se si deve riversare su vite umane, magari a rischio di vita, non si deve barattare con niente e con nessuno!

Con la speranza che qualcuno ci legga, spero che queste domande non restino inevase; sarebbe ora che i dirigenti con le maggior responsabilità ci dicano, senza nessuna partigianeria o piagnisteo, quali errori sono stati commessi nell’ultimo triennio, quanto tempo ci vorrà ancora per risanare, e non solo economicamente, la struttura che un tempo era considerato il vanto della nostra città. sottrarsi al confronto, anche quello più duro e aspro, non farà che peggiorare le già disastrate condizioni di Casa Sollievo della Sofferenza.

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