lunedì 14 maggio 2007

Il Partito della Restaurazione

Questa società italiana appare putrefatta e moralmente fiacca. Tutta, non soltanto il governo e il sottogoverno: tra chi sta dentro il palazzo e chi sta fuori c’è corrispondenza. La corruzione dei politici e dei loro manager è una costante della vita politica italiana: nasce soprattutto dal bisogno di procurarsi l’enorme quantità di soldi che i partiti e le loro correnti divorano, coinvolge tutti o quasi, creando una ragnatela di reciproci ricatti.


(Norberto Bobbio)


Durante gli anni del suo segretariato, il Chiacchierone, il Grande Distributore di mani, il Signor Sì (ma solo a parole) della politica sangiovannese, il nuovo Pseudo-Messia della città, l'uomo delle tessere, vale a dire Salvatore Mangiacotti, sindaco diessino – lo spero fervidamente – con i giorni contati a Palazzo di Città, aveva promesso cambi radicali, rivoluzioni, un rinnovamento generazionale, da molti auspicato, all’interno del suo partito; e in effetti, l’avventura partì sotto i migliori auspici: nuove teste pensanti, un programma politico finalmente diverso, riscoperta di ideali coperti fino ad allora da una spessa coltre di indifferenza ma, soprattutto, di ignoranza, entusiasmo alle stelle, volontà di mettersi in gioco furono alla base del successo politico e personale dell’attuale sindaco.

Il gruppo dirigente che gestiva le sorti del partito fu determinante e deciso nell’appoggiare la candidatura a sindaco di Mangiacotti che, più di due anni or sono, aveva tutte le carte per meritarsi quella candidatura: il lavoro da consigliere comunale raccolse applausi, consensi, sostegno anche da quelle persone che politicamente erano schierate con uno dei peggiori centro-destra che la storia politica sangiovannese ricordi.

Quel gruppo dirigente che, nel momento dell’insediamento, si era posto l’obiettivo, ambizioso, di far fare alla politica in generale quel salto di qualità indispensabile, doveroso che tutti attendevano con trepidazione.

Quel salto di qualità che avrebbe dovuto eliminare dall’agone politico tutte quelle persone che al partito e alla città avevano solo fatto del male.

Cos’è avvenuto, nel frattempo? Cos’è mutato nelle stanze della Quercia? Che fine ha fatto quel patrimonio di progetti, idee, speranze, amicizie, sogni? Come mai la casa diessina si è ben presto trasformata in un grandissimo e velenoso viperaio dove tra anfratti più o meno segreti si annidano tante lingue pericolose e cancerose?

In un torno di tempo, però, molto breve, e dopo la parentesi mediocre e avara di risultati concreti di Giuseppe Lauriola – che per l’unità del partito ha rinunciato a denunciare la deriva restauratrice, misoneista, affaristica del medesimo – il partito diessino è ripiombato nella più profonda crisi politica e morale degli ultimi sei anni.

Il bugiardo Mangiacotti, che nel suo periodo migliore aveva promesso, anche pubblicamente, che i vari Dragano, Marcucci, Siena – la triade ‘mitica’ di San Giovanni Rotondo – sarebbero spariti dalla scena politica, perlomeno da quella del partito della Quercia. E invece? E invece i redenti, forti delle tessere a disposizione all’interno dei Ds, sono più che mai vivi; più vitali di qualche anno fa; l’età – che per tutti noi trascorre in maniera inesorabile – per i tre redenti sembra non passare mai.

E per i poveri e comuni mortali le palesi menzogne del sindaco Mangiacotti, si son rivelate vere e proprie mazzate; mazzate che hanno distrutto il sogno di tanti militanti che ancora credono nella politica.

Qual era il sogno che tanti fantasticavano durante la notte? Semplice: che la triade – e a questa ci aggiungo anche i vari Urbano, Longo (il moralista, una volta persa la poltrona di assessore), Ciuffreda (la donna che crede solo in sé stessa), De Angelis (il falso ideologo del partito), Martino (la senilità politica ancora non gli rende chiari i suoi progetti futuri), il disastroso Mangiacotti (ogni mattina, quando mi sveglio, la prima domanda che mi pongo: è la seguente: chi prenderà per i fondelli il signor Sindaco?) – venisse una volta per tutte disintegrata. Era questo, d’altronde, uno degli obiettivi che si erano posti i maggiorenti di allora, di adesso, di domani, di dopodomani e del nuovo millennio…

I sogni, però, si son trasformati in veri e propri incubi: Dragano (il Sommo Poeta del partito, il Dante Alighieri della città), dopo il nulla rasentato in occasione del suo segretariato, e nonostante abbia tuttora la vergognosa impudenza di affermare che con la politica ha ormai chiuso definitivamente, è, a tutti gli effetti, membro del mastodontico direttivo che l’ultimo congresso sezionale ha partorito, così come il sodale Marcucci, sempre sulla cresta dell’onda; Siena, nonostante il palese conflitto d’interessi tra l’incarico pubblico e la professione che esercita, scelto addirittura dal sindaco Mangiacotti come assessore per la sua “comprovata esperienza e capacità”, secondo le parole pronunciate dal sindaco in occasione di un’ intervista.

E gli altri? Cosa hanno fatto gli altri davanti a questo ritorno? Ad un ritorno, povero e miserevole, dello status quo? Semplice: come tante pecorelle ‘smarrite’ si sono accodate al nuovo pastore diessino che dovrà traghettare la Quercia verso la creazione del Partito democratico, vale a dire Colella, il catto-comunista che un giorno incensa la Chiesa e l’altro, invece, benedice il mito di Berlinguer.

È un partito alla deriva, dove l’ateismo è stato sostituito dal più fervido clericalismo, il rinnovamento alla restaurazione, gli ideali al più bieco affarismo, la democrazia all’oligarchia, la visione differente del partito alla formazione di tante minicorrenti l’una in competizione con le altre.

Tutti a lamentarsi dello sfascio del proprio partito, ma nessuno – dico nessuno! – che abbia il coraggio non solo di denunciare il tutto, ma anche di dimettersi dalla carica che ricopre: consigliere, assessore e chi più ne ha ne metta…

È il fallimento, in primis, delle generazione dei cinquantenni-sessantenni, quelli che hanno comandato il partito, prima come comunisti e poi come ex-comunisti, per decenni; ma è il fallimento – e qui sta, forse, forse la gravità della situazione – dei quarantenni, quelli che, oggi, sono nelle stanze dei bottoni, nei saloni decorati del potere, pieni di riverenza e servitù; quel potere che ha offuscato le menti, molto labili, dei governanti diessini, governanti pieni di arroganza e perfidia; quel potere che ha fatto perdere il contatto con la realtà, quella dura e piena di sacrifici a cui la gente è sottoposta. È il fallimento, quindi, di due intere generazioni, verso le quali molti avevano riposte tante speranze. Un fallimento che non ammette scusanti o giustificazioni. Un fallimento partorito volutamente, che ha tante madri e tanti padri.

Per i tanti militanti che hanno creduto seriamente alla politica è giunta l’ora più triste e dolorosa: quella della disillusione, del ritorno a casa, un ritorno mesto, a testa bassa, con la bandiera ripiegata su stessa, una bandiera da riporre nel più nascosto armadio di casa, in attesa – ma ci sarà un’altra occasione di riscossa, mi chiedo? – di una pronta rivincita verso coloro che hanno distrutto, e forse in maniera irreversibile, il sogno di tanti onesti cittadini.

Chiedo in questa occasione: cosa ha impedito, dunque, le pecorelle ‘smarrite’ a tacere per l’ennesima volta di fronte ad uno schiaffo così sonoro e doloroso?

Per quale motivo, dunque, nessuno o quasi, denuncia il fatto che ogni minicorrente presente nel partito ha una certa influenza nelle scelte affaristico-clientelari in base al numero di tessere?

Da che cosa dipende questo atteggiamento volutamente discriminatorio?

Signor Colella, aspettiamo dal suo pulpito una qualche spiegazione in merito.

Sarà vana l’attesa…?

3 commenti:

Tanuccio ha detto...

Cosa dire della situazione politica sangiovanese... Il vecchio e lucubre che avanza...

Anonimo ha detto...

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